Fin dalle mie prime visite a Londra, negli ahimè ormai lontani anni Settanta, Soho Square ha rappresentato un punto fermo. E sottolineo l’aggettivo “fermo”. Chi ama Londra sa bene che, al di là del suo formidabile sistema di trasporti, il mezzo migliore per viverla e scoprirla è percorrerla a piedi. E allora durante queste interminabili maratone londinesi ogni tanto c’è bisogno di qualche pausa per tirare il fiato e dare un po’ di ristoro alle gambe. Onestamente non ricordo più la prima volta che mi sedetti su una delle panchine in legno posizionate nei giardinetti al centro della piazza, fatto sta che da allora ci sono tornato innumerevoli volte e non sono mai rimasto deluso.
Fin dall’inizio rimasi colpito dalle voci di quei signori di una certa età che ogni pomeriggio si davano appuntamento all’ombra offerta dei maestosi alberi della piazza e parlavano in italiano. Tutti vecchi immigrati che per la maggior parte avevano lavorato negli innumerevoli locali italiani e che ancora risiedevano nella zona. Per la legge inesorabile del tempo a mano a mano che passavano gli anni il loro numero è andato sempre più a diminuire. Ogni volta che tornavo a sedermi sulle panchine di Soho Square potevo notare che qualcuno mancava all’appello. Un mondo che in modo inesorabile, giorno dopo giorno, andava a scomparire.
Navigando su Internet, in modo del tutto casuale ho trovato un’immagine che ritrae proprio una delle panchine di Soho Square dove ci sono dei signori un po’ avanti negli anni. Uno di loro l’ho conosciuto e mi è capitato di parlare diverse volte con lui.
Quel tipo grassoccio di profilo con il cappellino e il braccio dietro la panchina era originario di un paesino dell’Abruzzo di cui non ricordo il nome. Nel 1964 era emigrato a Londra da dove poi non si era più mosso. Come facevano molti altri italiani del tempo era arrivato senza parlare una parola di inglese, armato solo dalla volontà di trovare un modo per migliorare la sua vita. Per molti anni ha lavorato nelle cucine dell’ambasciata spagnola. Poi in vari ristoranti italiani di Soho. Alla fine per arrotondare la pensioncina ogni mattina andava a dare una mano in una bancarella di frutta e verdura al mercatino di Berwick Street. Era una persona semplice, da giovane non aveva studiato, ma ci teneva a essere informato un po’ su tutto, dalla politica allo sport, per questo ogni giorno leggeva il “Corriere della Sera” e tutte le sere andava a seguire il telegiornale della Rai al vecchio Bar Italia di Frith Street, una volta tradizionale punto di ritrovo per i tanti italiani della zona e ormai sempre più popolato da turisti russi, giapponesi o di chissà dove del tutto disinteressati alle immagini del TG1 che scorrono sul televisore.
Vivere a Londra per il mio amico abruzzese non era stata una passeggiata di piacere. Non aveva avuto una vita facile, non era diventato ricco, ma bene o male era sempre riuscito a tirare avanti. Senza famiglia, nel quartiere conosceva un po’ tutti e ogni pomeriggio spuntava da Greek Street per andare a sedersi su una delle panchine di Soho Square. Parlava volentieri con chiunque, ma sotto l’aria paciosa aveva conservato un che di selvatico. “Quando sono arrivato a Londra a me non mi ha aiutato nessuno” diceva sempre. L’altro suo cavallo di battaglia era: “Una volta venivano un sacco di italiani a Londra per lavorare. Adesso arriva solo qualche ragazzaccio per drogarsi”. Detestava le lagne e le prediche.
Una decina di anni fa l’ho visto per l’ultima volta anche se lui non mi ha riconosciuto. Camminava a passettini appoggiandosi a un bastone, respirava a fatica e aveva un’aria assente. Come dicono da quelle parti: End of an era.
Silvano Calzini è nato nel 1956 a Milano dove lavora nel mondo editoriale. Ha pubblicato Figurine. 100 grandi scrittori raccontati come assi del pallone (Ink, 2017), Il signor K e la donna di marmo (Bolis Edizioni, 2018) e la serie di e-book Nani da leggere. Romanzi in 10 parole (Simonelli Editore, 2011-2014).
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