Tuam Nescis – Gli affascinanti antenati del Capitano Burton

55 Pembroke Road – Dublino, Irlanda

Ieri sono stato ospite della sesta conferenza dedicata a Richard Francis Burton, che si è tenuta alla Diplomatische Akademie di Vienna. Questo è il testo del mio intervento.


Il 16 Settembre del 1824 Richard Baker si recò dai suoi avvocati per modificare il proprio testamento.

Uomo d’affari scaltro ed avveduto, aveva da poco superato la sessantina e risiedeva a Barham House, nei pressi del villaggio di Elstree, una quindicina di miglia a nord di Londra.

Tutto girava bene, anzi benissimo: il conto corrente in banca era più che florido, i cavalli gli davano soddisfazioni, la sua cantina era colma di vini pregiati.

Era il momento di porre la ciliegina sulla torta: avrebbe riscritto il testamento per destinare gran parte del suo patrimonio al nipotino di tre anni, un bimbo con gli occhi azzurri e i capelli rossi, a cui era stato dato il suo stesso nome: Richard.

Giunto davanti allo studio degli avvocati, mentre scendeva dalla carrozza, Richard Baker fu vittima di un attacco di cuore e morì.

Fu così che suo nipote, Richard Francis Burton, all’età di tre anni perse una fortuna: 80.000 sterline del 1824.

Se avesse ereditato tutto quel denaro forse oggi non saremmo qui a dedicargli una conferenza. Forse Richard Francis Burton avrebbe condotto l’esistenza del perfetto gentiluomo di campagna, come il nonno.

Avrebbe allevato cani e cavalli, avrebbe pagato il rifacimento del coro della chiesa parrocchiale, sarebbe stato sepolto con molti onori e dimenticato nel volgere di pochi anni. E invece il denaro del vecchio Baker andò tutto a Richard jr., il figlio nato dal suo primo matrimonio.

Richard Francis Burton nacque a Torquay il 19 Marzo del 1821. Alcune fonti parlano di Elstree, confondendo il luogo di nascita con quello dove fu battezzato, ovvero la parrocchia frequentata dai nonni materni.

La madre, Martha, era una delle tre figlie di Richard Baker e di una scozzese purosangue, diretta discendente di Rob Roy Macgregor, il leggendario capo-clan e fuorilegge.

I capelli rossi del piccolo Richard Francis derivavano probabilmente dagli antenati della nonna materna.

Il padre, Joseph Netterville Burton, nato in Irlanda, era un militare con il grado di tenente colonnello.

Aveva conosciuto la futura consorte mentre era in congedo in Inghilterra.

Il vecchio Baker, con molta perspicacia, aveva trovato il modo di blindare la dote di 30.000 sterline destinata alla figlia. Aveva anche tentato di ostacolare le nozze, senza riuscirci. Aveva infatti intuito che il genero era un potenziale pericolo: aveva dilapidato in poco tempo la sua parte di eredità irlandese investendo in borsa e ora faceva affidamento sul solo stipendio di militare.

L’imprudenza in campo finanziario era una caratteristica dei Burton: anche il fratello maggiore, Edmund, aveva sperperato la propria eredità fino all’ultimo penny ed era stato costretto ad emigrare in Canada.

Edmund e Joseph erano i due figli maggiori di Edward, rettore di Tuam, nella contea irlandese di Galway, nato in Inghilterra e stabilitosi in Irlanda al seguito del fratello, anch’egli uomo di Chiesa. Erano partiti da Shap, nel Westmoreland.

A Tuam Edward aveva sposato Maria Margaretta Campbell e la coppia si era stabilita in un podere chiamato Newgarden. La moglie era la figlia del vicario generale di Tuam.

Richard Francis Burton fu uno scrittore molto prolifico, su questo non ci sono dubbi. Quello che sorprende è il fatto che, tra le migliaia di pagine in cui descrisse la sua straordinaria vita, dedicò soltanto una manciata di righe a sua madre e appena qualcuna in più a suo padre. Di entrambi non esistono ritratti o disegni di alcun tipo.

Il motivo della poca considerazione nei confronti della madre risiede probabilmente nel fatto che la riteneva responsabile della mancata eredità del nonno, perché era stata lei ad insistere affinché il padre non diseredasse il fratellastro a cui era molto legata.

Nelle sue memorie Burton descrive il padre come un uomo attraente, soprattutto in uniforme. Di altezza modesta, capelli scuri, pelle olivastra e occhi penetranti. Più o meno l’aspetto fisico dello stesso Burton, che però per tutta la vita si considerò poco piacente.

Perennemente insoddisfatto, si fece crescere i baffi, poi la barba, che cambiò più volte forma e dimensioni.

A cinquantacinque anni, mentre Sir Frederick Leighton dipingeva il suo ritratto, Burton disse all’artista: “Non fatemi brutto, vi prego.”

Parlando del padre, il Capitano Burton lo definì un uomo molto onesto, incapace di entrare in una sala da gioco ma pericolosamente sconsiderato negli investimenti. Fino alla fine dei suoi giorni il padre fu convinto che se il suocero non gli avesse impedito di accedere alle sostanze della moglie avrebbe potuto fare una fortuna in Borsa. Il figlio, al contrario, era felice che non avesse potuto toccare il denaro, perché altrimenti lo avrebbe dilapidato in poco tempo.

Richard Francis Burton non aveva una grande opinione dei trascorsi professionali del padre. Questi aveva scelto la carriera militare a 17 anni per lasciare l’Irlanda e scampare ad un futuro che si prospettava scialbo ed opprimente. L’esercito lo aveva subito trasferito in Italia, più precisamente in Sicilia, allora baluardo della resistenza inglese nei confronti di Napoleone.

L’isola era stata occupata a partire dal 1806 e Lord Bentinck, il rappresentante della Corona, si era insediato a Palermo. L’amore di Burton padre per l’Italia, dove un giorno si sarebbe trasferito con la famiglia, nacque proprio in questo periodo.

Dopo la Sicilia fu la volta di Genova. Durante la sua permanenza, giunse in città la Regina Carolina, moglie del Re Giorgio IV con al seguito una corte di dame capricciose e di uomini galanti.

Burton padre faceva parte del contingente di truppe che controllava la città e anni dopo, quando la Regina fu accusata dal consorte di adulterio con un uomo italiano, il colonnello fu chiamato dall’accusa a testimoniare. Burton non si presentò, perché la Regina aveva conquistato la sua devozione e quella degli altri ufficiali, che la consideravano innocente.

La conseguenza del rifiuto fu durissima: gli fu dimezzata la paga, per ordine del Duca di Wellington in persona. Da quel momento Joseph Netterville Burton perse ogni legame con l’esercito e smise per sempre di lavorare.

Era il 1820. L ’anno prima aveva conosciuto e sposato Martha Baker. Richard Francis Burton sarebbe nato l’anno successivo a Torquay.

Qui il padre, forse troppo pigro o forse semplicemente incapace di mettere da parte l’orgoglio e di tornare in servizio, dedicava giornate intere ai suoi passatempi, in particolare alla sua passione per gli esperimenti chimici.

Quando i soldi cominciarono a scarseggiare e i creditori bussarono alla porta, la famiglia Burton fece i bagagli e si trasferì nel Continente, prima in Francia e poi, come detto, in Italia.

Era il 1825 e il piccolo Richard Francis aveva compiuto quattro anni.

Esattamente 40 anni dopo, nei primi giorni del 1865, il Capitano Burton, accompagnato dalla moglie Isabel, con cui era sposato da quattro anni, partì per un viaggio meno avventuroso di quelli che aveva compiuto in precedenza ma che si sarebbe rilevato altrettanto importante. La coppia salpò infatti dalla costa inglese per raggiungere Dublino e la terra natale di Burton padre.

Richard era temporaneamente in licenza dopo aver concluso l’incarico di console a Fernando Po e in attesa di partire per Santos, in Brasile.

Il racconto del loro viaggio in Irlanda, durato più di due mesi, è contenuto nella biografia di Burton scritta da Isabel ed è piuttosto dettagliato. Si trattò infatti di una delle rare occasioni dei primi anni di matrimonio in cui Burton e la moglie passarono intere settimane l’uno accanto all’altra, approfittando del periodo di congedo del console.

Ho consultato i quotidiani irlandesi dell’epoca, per individuare la data precisa del loro arrivo: il 10 Gennaio del 1865 i “viaggiatori dell’Est” (così li definì il Dublin Evening Mail) varcarono la soglia del Bilton’s Hotel di Dublino, in Sackville Street (oggi O’Connell Street).

I giorni successivi furono intensi. Il 14 Gennaio erano tra gli ospiti di un ricevimento del Lord luogotenente d’Irlanda, Lord Wodehouse, nella splendida Viceregal Lodge, oggi residenza del Presidente irlandese.

Il giorno successivo parteciparono ad una funzione religiosa, il 2 Febbraio si spostarono dal Bilton al Gresham Hotel e l’8 erano tra gli invitati al primo ballo della stagione nella splendida St. Patrick’s Hall, all’interno del Castello di Dublino.

Il 16 Febbraio furono ospitati a Moore Abbey dal Marchese di Drogheda e la sera successiva erano nuovamente a cena con Lord Wodehouse.

Se chiudo gli occhi riesco ad immaginare l’espressione di sofferenza sul volto del Capitano Burton, costretto dall’insistenza della moglie ad affrontare questi appuntamenti mondani.

Elegante, bene educata, perfetto esempio di donna dell’alta società vittoriana, Isabel Burton era perfettamente a suo agio tra salotti, balli, ricevimenti e funzioni religiose. Il marito, al contrario, era insofferente a tutto questo ma sopportava per amore.

La seconda parte del viaggio in Irlanda, iniziata il 20 Febbraio con la partenza dal Gresham Hotel, è senz’altro più interessante. Quella che era cominciata come una vacanza diventò per Burton un’esplorazione delle proprie radici.

Viaggiarono a bordo di una jaunting car, tipica carrozza irlandese a due ruote, trainata da un singolo cavallo che a metà giornata accompagnava il suo pasto con una pinta di acqua e whiskey.

Isabel era accompagnata da una cameriera irlandese, Kiernan, che si divertiva ad osservare il Capitano Burton che si aggrappava ai sostegni quando la carrozza affrontava una curva, mentre lei restava calma, con le mani al caldo all’interno del suo manicotto.

“Sembra che siate nata in una carrozza, maledizione! Ve la farò pagare per avermi deriso!”

Qualche giorno dopo, per colpa di una brusca sterzata, il manicotto della cameriera cadde a terra. Burton fermò la carrozza e scese per raccoglierlo. Si attardò fingendo di sistemare uno stivale, riempì il manicotto di neve raccolta dal ciglio della strada e lo riconsegnò alla donna. Quando infilò nuovamente le mani, la povera Kiernan cacciò un urlo. “Così imparerete a ridere di me quando mi aggrappo alla carrozza!” le disse il perfido Burton.

Girarono l’Irlanda in lungo e in largo. Visitarono la Collina di Tara, Drogheda, il sito della celebre Battaglia di Boyne, la cattedrale di Armagh, baciarono la Pietra di Blarney e ammirarono la bellezza di Killarney, sulla costa atlantica.

Poi si mossero in direzione di Tuam, il luogo di nascita del padre.

Joseph Netterville Burton non aveva mai parlato delle proprie origini e, dopo il matrimonio, non aveva più rimesso piede in Irlanda.

Tuam si rivelò una totale delusione. Isabel scrive che entrambi la trovarono “un luogo agghiacciante”.

Il nome dei Burton era ancora molto conosciuto, grazie al ricordo del nonno e del prozio. Centinaia di poveri si accalcarono attorno a Richard e Isabel, supplicando dei regali.

Cenarono con alcune vecchie zie e ripartirono subito, senza fermarsi per la notte, con grande sollievo di Isabel.

Era giunta l’ora di tornare a Dublino.

On to Dublin dear & dirty, dear indeed and very dear

With its claret at eight shillings little better than small beer…

O thou capital of Oirland what fierce questions roll

As I am to thee a stranger – o’er my quasi-Irish soul

Questi versi furono scritti da Richard Francis Burton e fanno parte di un poema rimasto incompleto.

Quando tornarono nella capitale, Burton scrisse ad un gentiluomo che aveva conosciuto e incontrato più volte durante i ricevimenti mondani a cui avevano partecipato a Dublino: si chiamava John Bernard Burke, aveva qualche anno più di lui e ricopriva l’incarico di Ulster King of Arms.

Il Re d’Armi era a capo degli araldi e aveva il compito di custodire gli stemmi concessi e di registrare e correggere gli alberi genealogici delle famiglie.

Burke era anche il custode degli archivi del Castello di Dublino, il suo ufficio era infatti nella massiccia Record Tower, e successivamente fu nominato custode dei documenti di Stato irlandesi.

Dopo la morte del padre aveva proseguito la pubblicazione annuale del prestigioso Burke’s Peerage, fondato nel 1826, la guida che aggiornava periodicamente lo stato di famiglia degli aristocratici del Regno Unito.

Per Burton, interessato a conoscere le proprie origini, si trattava dell’interlocutore ideale.

La biografia scritta da Lady Burton racconta che un giorno lei e il marito furono ospiti di Burke e della consorte e che nello studio del famoso genealogista si tenne un fitto colloquio sulle radici del Capitano Burton e sulla cosiddetta leggenda di Luigi XIV.

Prima di narrarvela, però, devo parlarvi del mio recente viaggio in Irlanda.

Anch’io sono arrivato a Dublino e in compagnia di mia moglie. Le somiglianze finiscono qui, perché gli obiettivi della nostra vacanza erano altri.

In ordine sparso: percorrere a piedi parte della Dingle Way, sulla costa atlantica, la Guinness, ascoltare musica dal vivo, la Guinness, ammirare pecore a perdita d’occhio e ancora la Guinness.

Niente carrozze ma soltanto treni e autobus, niente ricevimenti o balli, solo allegre serate nei deliziosi pub dei villaggi che abbiamo attraversato.

Però anche io e Silvia abbiamo iniziato e chiuso il nostro viaggio in Irlanda da Dublino, perché da lì Ryanair ci avrebbe riportato in Italia.

Tornati nella capitale dopo una settimana immersi nella natura, accadde una piccola magia, una di quelle coincidenze che vanno imputate al vecchio Capitano Burton.

Avevo ricevuto l’invito di Mick Walton per la conferenza di Vienna e, durante il volo di andata, avevo cominciato a leggere un po’ di materiale raccolto nei giorni precedenti.

L’idea era già quella di sfruttare il viaggio in Irlanda per approfondire le radici irlandesi di Burton.

Avevo subito scartato l’ipotesi di una visita a Tuam: non c’era bisogno di ammirare dal vivo una cittadina “agghiacciante”. Mi concentrai piuttosto sulla cara vecchia Dublino e sull’incontro tra Burton e Burke.

Mi ero inspiegabilmente impuntato nel voler scoprire la residenza di Burke nel 1865, per sapere esattamente dove era avvenuto l’incontro descritto da Lady Burton.

Leggendo i quotidiani dell’epoca scoprii che l’anno precedente l’indirizzo di Burke era il 28 di Pembroke Place, nel quartiere di Ballsbridge.

Della strada, però, negli anni successivi si perdono le tracce e anche oggi non compare nelle mappe.

Nel 1865, infatti, Pembroke Place fu incorporata in Pembroke Road, con la conseguente rinumerazione delle abitazioni. Alla casa di Burke fu assegnato il numero 55 e da allora tutto è rimasto uguale.

La magia avvenne quando cercai notizie su Google.

Il 55 di Pembroke Road è ancora al suo posto e, incredibile ma vero, è una casa privata aperta al pubblico da Maggio a Settembre!

Potevo forse non mettermi in contatto con il proprietario per concordare una visita?

Alle ore 12 di domenica 13 Agosto io e Silvia eravamo di fronte alla stessa porta massiccia, dipinta di verde, a cui un giorno avevano bussato il Capitano Burton e sua moglie Isabel.

55 Pembroke Villa, così si chiama oggi l’edificio, fa parte di una schiera di eleganti case georgiane fatte costruire nel 1835 da George Herbert, 11esimo conte di Pembroke.

La facciata su Pembroke Road, pietra ai piani più bassi e mattoni a quelli superiori, è abbellita da eleganti ringhiere e balaustre in ferro disegnate da Richard Turner, artefice delle celebri serre dei Kew Gardens di Londra. Anche alcuni dei magnifici caminetti di Pembroke Villa sono opera sua. Così ci ha raccontato Michael Quinn, l’attuale padrone di casa.

Proprietario di pub e alberghi, appassionato di sotira, Quinn ha acquistato l’edificio nel 1995 e l’ha restaurato con cura, riportandolo agli antichi fasti.

E’ stato lui a guidarci all’interno della casa, partendo dal piano interrato un tempo occupato dalla servitù e oggi abitato dai suoi nipoti e da uno splendido golden retriever di nome Fionn. La visita vera e propria è iniziata al piano rialzato, dal quale sale ai piani superiori una meravigliosa scala.

Quel giorno era inondata dalla luce che entrava dall’enorme finestra con i vetri colorati.

Dopo esserci accomodati nel grande salotto al primo piano, Michael Quinn ha ascoltato con interesse il motivo principale della nostra visita: cercare una traccia del passaggio del Capitano Burton e di sua moglie Isabel nella casa che un tempo era la residenza di Sir John Bernard Burke.

Purtroppo, durante le approfondite ricerche svolte negli anni per ricostruire la storia dell’edificio, Quinn non aveva mai incrociato il nome di Burke. Allora io, lui e Silvia abbiamo provato a immaginare l’incontro tra Burton e Burke, nei primi mesi del lontano 1865.

Quella sera una carrozza lasciò i coniugi Burton di fronte al numero 55 di Pembroke Road. Tutte le finestre della casa erano illuminate e si intravedeva un enorme lampadario al primo piano. Salirono i tredici scalini che conducevano all’ingresso, dai quali era stata spazzata la neve caduta copiosa nel pomeriggio, e bussarono alla porta, dipinta di verde.

Venne ad aprire una cameriera giovane e minuta, che prese i loro cappotti e li condusse al piano superiore, precedendoli lungo una scala di pregevole fattura. Giunti sul pianerottolo, la cameriera bussò alla porta del salotto e annunciò l’arrivo del Capitano e della signora Burton.

Dopo gli inevitabili convenevoli, ben presto si formarono due coppie. Lady Burke rimase nel salotto con Isabel e le presentò uno alla volta i figli, in particolare l’ultimo nato che aveva sei mesi appena.

I mariti salirono invece nello studio, al piano superiore. Qui Burton cominciò a raccontare la storia della sua famiglia e le origini dei genitori.

“Nelle mie vene scorre sangue inglese, irlandese, scozzese e francese, e probabilmente anche qualche goccia che proviene dall’Oriente o dai gitani, anche se ciò non è mai stato provato”.

Il genealogista ascoltava attentamente e nel frattempo prendeva appunti.

La consultazione del Burke’s Peerage alla voce Burton confermò ciò che il Capitano già sapeva: nella sua stirpe c’era purtroppo un buco di quasi quarant’anni, dal 1712 al 1750, che impediva di stabilire una connessione diretta della famiglia paterna con un certo Thomas Burton nominato baronetto da Giacomo I.

Burton si aspettava questo responso e non parve deluso. Cominciò invece a parlare con enfasi, quasi fosse su un palcoscenico.

Burton poggiò il bicchiere di whiskey sulla mensola del camino, guadagnò il centro della stanza e cominciò a raccontare, fissando Burke con i suoi occhi scuri.

“I miei antenati scozzesi e quelli del nord mi hanno donato la freddezza e la solidità nei momenti di maggiore pericolo che ho dovuto affrontare. Degli irlandesi ho la capacità di battermi. Degli arabi o dei gitani la padronanza delle lingue, il mio agnosticismo, l’essere superstizioso, il misticismo, lo spirito selvaggio, l’intuito. E poi c’è la leggenda di Luigi XIV…”

A questo punto Burke smise di scrivere, appoggiò la penna e guardò incuriosito Burton, invitandolo a proseguire.

“Questa leggenda si tramanda di padre in figlio nella famiglia Burton. Luigi XIV, il Re Sole, ebbe un figlio da una delle sue amanti, la contessa di Montmorency, e ovviamente non lo riconobbe. La donna era ugonotta e, per timore che il bimbo fosse educato da cattolico, lo mandò illegalmente in Irlanda nascosto in una cesta di fiori. Qui fu adottato, gli fu cambiato il nome da Louis Le Jeune a Louis Drelincourt Young e in seguito divenne rettore della Chiesa Anglicana. Decenni dopo una sua nipote, Maria Margaretta Campbell, sposò mio nonno.

Ecco perché il mio sangue è anche francese e per questo motivo sono un ottimo schermidore e tutti mi considerano arguto e sagace.”

“Voglio che sia chiaro.” disse Burke quando Burton ebbe finito “Mi domando perché voi, Capitano Burton, che nelle vene avete sangue inglese e scozzese e siete imparentato con le migliori famiglie, vi dobbiate disturbare per quella che, ben che vada, sarebbe una discendenza morganatica!”

Burton, appoggiato alla libreria con le mani in tasca, guardava divertito la faccia seria di Burke.

“Mi chiedete perché? Vorrei essere il figlio bastardo di un Re piuttosto che quello di un onest’uomo!” e dicendo così scoppiò in una risata fragorosa, che si udì in tutta la casa. Il povero Burke rimase interdetto e non riuscì a trovare una risposta adatta.

La serata si concluse poco dopo, con un ultimo whiskey di fronte al magnifico caminetto del salotto, disegnato da Richard Turner.

Quando la carrozza che riportava i Burton lasciò Pembroke Villa diretta al Gresham Hotel, la campana della chiesa di St Mary segnava la mezzanotte.

A migliaia di chilometri di distanza, in Sicilia, sorge una chiesa ben più antica di quella di St. Mary.

Il Duomo di Monreale, che risale al 1200, è celebre per gli splendidi mosaici bizantini che decorano l’interno e in particolare per l’immenso Cristo Pantocratore raffigurato nell’abside.

La torre campanaria di sinistra è più bassa, perché rimase incompiuta.

Sul quadrante dell’orologio c’è una scritta latina, la seconda parte di un proverbio che dice “Noscis Meam, Tuam Nescis”: conosci la mia ora ma non sai quando verrà la tua.

Ho già raccontato che Burton padre, partito dalla città natale di Tuam dopo essersi arruolato nell’esercito, era stato spedito in Sicilia a difendere l’isola dalla minaccia di Napoleone.

Monreale sorge alle porte di Palermo, dove si era insediato Lord Bentinck, il rappresentante della Corona. Non è escluso che un giorno il giovane soldato sia passato di qui e che abbia alzato gli occhi verso il campanile del Duomo per sapere che ora fosse. Con un certo stupore avrebbe letto “Tuam Nescis”. In latino “Tuam Nescis” significa “Non conosci la tua” ma potrebbe anche essere tradotto con “Non conosci Tuam”, se ci si riferisce alla cittadina della contea di Galway.

Burton padre la conosceva fin troppo bene, tanto da esserne fuggito e non averci più rimesso piede.

Chi certamente non conosceva Tuam era suo figlio, il Capitano Richard Francis Burton. Il viaggio in Irlanda fu l’occasione per visitarla e il successivo colloquio con Burke gli confermò ciò che già sapeva, che i suoi genitori erano state due persone tutto sommato mediocri e che le generazioni precedenti nascondevano qualche sorpresa: la parentela con Rob Roy, il famigerato fuorilegge scozzese, la discendenza da un baronetto inglese resa incerta da un buco nell’albero genealogico, un intrigante ma molto discutibile legame con il Re Sole.

L’unico personaggio fuori dagli schemi, il vero pezzo da novanta era in fondo lui stesso, il Capitano Burton. Era giunto il tempo di lasciare Dublino. La prossima tappa era Santos, in Brasile. Poi sarebbe stata la volta di Damasco e infine di Trieste.

Ma qualcosa mi dice che il Capitano Burton potrebbe essere ancora in giro. Ho scattato una foto ieri sera, in un ristorante di Vienna. C’era un uomo singolare, che si stava godendo una fetta di Sacher, seduto ad un tavolo all’angolo.

Vi ricorda qualcuno?


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