Il corrispondente da Londra di 90° Minuto

80-82 Wardour Street – Tube: Piccadilly Circus

L’idea per questo post nacque a metà novembre dell’anno scorso, davanti ad un bicchiere di vino rosso al termine di una cena deliziosa.

Ero ospite del mio vecchio amico Valerio, che vive e lavora a Londra da anni e ogni tanto mi accoglie nella sua bellissima casa piena fatta di molti piani, di molte scale e molte stanze da bagno.

Come sempre, ad un certo punto arrivò la domanda che mi pone ogni volta che ci vediamo: “Ma tu perché diavolo vieni sempre a Londra?”. Un po’ perché è ormai un residente di lunga data, un po’ perché è nauseato dalla città e ogni volta che può parte per un viaggio all’altro capo del mondo, Valerio non ha tutti i torti. Perché continuo a tornare a Londra?

Per giustificare quella che ammetto essere una malattia, quella sera intavolai un discorso che in molte occasioni è un vero e proprio asso nella manica. Dice più o meno così: “Vedi, caro Valerio, Londra è un luogo che mi permette di immergermi di volta in volta nelle situazioni più disparate, di ascoltare la musica che altrove non ascolterei, di trovare il museo inatteso, di assistere alla prima di un film indipendente, di scoprire storie e personaggi anticonformisti come soltanto gli inglesi possono essere. Questa città mi piace perché nelle sue strade trovo tutto quello che soddisfa la mia curiosità e spesso anche qualcosa in più, qualcosa che magari non stavo cercando. Ad esempio il Bates Motel di Psycho nel cortile della Royal Academy!”

Aggiungo un’altra riflessione, che ho fatto di recente. Londra è una città che non si aspetta nulla da chi la visita. Mi spiego meglio: che tu lo voglia o no, se ti affacci sulla Senna di notte, Parigi pretende che tu pensi all’amore (passato, presente o futuro); il centro storico di Roma impone che tu immagini la sua grandezza passata, i fasti imperiali; viceversa Berlino, con le ferite della guerra e i resti del Muro, esige che tu non dimentichi gli orrori del secolo scorso.

A Londra non succede così, non esiste un sentimento dominante e la città non reclama alcunché. Sì, c’è la Regina Elisabetta, c’è il Parlamento, c’è una Storia con la S maiuscola… ma nell’aria c’è ancora il punk dissacrante dei Sex Pistols, ad esempio! C’è tutto ed il contrario di tutto. Spero di essermi spiegato.

Tornando alla cena a casa di Valerio, ricordo che il vino rosso ad un certo punto mi suggerì una provocazione: “Ti dimostrerò che in questa città si trova davvero ogni cosa, la mia è una rivisitazione casereccia della teoria dei Sei gradi di separazione. Parlami di qualsiasi argomento e scommetto che troverò in pochissimi passaggi un collegamento con Londra!”

Valerio accettò la sfida ed estrasse dal cilindro una delle perle per cui è famoso: “Vediamo come farai a trovare un nesso tra questa città e la sigla iniziale di 90° Minuto! Te la ricordi, no?”. E me la fece ascoltare…

Accettai la sfida, finii il mio bicchiere di vino e, augurata la buona notte, mi ritirai in camera.

Il mattino seguente feci colazione con Valerio e la sua famiglia. Nessun cenno da parte di entrambi ai discorsi della sera prima ma, al momento dei saluti, mentre uscivo per la mia ultima giornata londinese prima del ritorno in Italia, lasciai il mio amico con una frase sibillina: “Ah, circa la sfida di ieri sera… avrai presto mie notizie…”.

Dopo un paio di tappe lontane dal centro, verso l’ora di pranzo presi la metropolitana e scesi a Piccadilly Circus. Mi incamminai tra le strade di Soho e raggiunsi in pochi minuti la mia destinazione: un austero palazzone a metà di Wardour Street, la lunga strada che taglia il quartiere per lungo, risalendo da Leicester Square fino ai marciapiedi sempre affollati di Oxford Street.

Al pianterreno c’era un ristorante messicano, uno dei tanti di una catena, ma il mio sguardo si spostò subito verso l’alto, verso le finestre dove una volta aveva gli uffici la “De Wolfe Music”.

Gli stessi uffici in cui una sessantina d’anni fa entrò un giovane musicista che veniva dall’Olanda: il suo nome era Jan Stoeckart. Il musicista che, con lo pseudonimo di Jack Trombey, avrebbe composto “Pancho”, la futura sigla di 90° Minuto.

La gloriosa De Wolfe, fondata da Meyer De Wolfe nel 1909 e ancora in piena attività, si occupa da sempre di “library music”, tradotta in italiano con l’espressione “musica per sonorizzazioni”: in sostanza si tratta dell’accompagnamento musicale utilizzato per pubblicità, documentari e programmi televisivi.

Detta così la cosa non suscita grande attrattiva ma ci fu un periodo, in Inghilterra così come in Italia, in cui si misero in luce autori che poi fecero strada nel mondo del cinema: è sufficiente fare i nomi dei nostri Ennio Morricone, Piero Umiliani e Alessandro Alessandroni.

Jan Stoeckart (che in seguitò si firmò con decine di pseudonimi come Willy Faust, Peter Milray, Julius Steffaro e Jack Trombey) siglò un contratto con la De Wolfe e, negli anni successivi, scrisse e incise una quantità incredibile di brani: più di 1.200!

Uno di questi fu proprio “Pancho”, registrato nel 1966 all’interno di un album intitolato “Young Beat” e firmato “International Studio Group conducted by Jack Trombey”.

Al suo interno, oltre al trombone di Stoeckart c’erano il pianoforte di Isaac Hayes (che avrebbe scritto tra le altre cose la colonna sonora di “Shaft il detective”), la chitarra di Steve Cropper e il basso di Donald Dunn, due colonne della Stax Records.

Le raccolte della “De Wolfe” avevano titoli ammiccanti come “Great Occasion”, “Appalachian Sunset” e “Modern Colours – Green” e racchiudevano al loro interno i brani più disparati: folk ritmato, temi seducenti per le scene più romantiche o pezzi perfetti per un film di spionaggio.

Quando la redazione di 90° Minuto si trovò a scegliere il brano per la sigla di apertura della trasmissione, attinse evidentemente allo sterminato archivio De Wolfe e così, il 27 settembre del 1970, gli appassionati di calcio italiani fecero la conoscenza di Jack Trombey alias Jan Stoeckart e della sua “Pancho”.

Le enormi cuffie di Tonino Carino da Ascoli, le giacche monumentali di Cesare Castellotti, il clamoroso riporto di Franco Strippoli, Luigi Necco sommerso dai tifosi allo stadio San Paolo, il volto emaciato del timido Ferruccio Gard: il delizioso teatrino della domenica pomeriggio, orchestrato da Paolo Valenti, iniziava puntuale alle 18:10 con le note di Jack Trombey.

Musica che, senza ombra di dubbio, arrivava da Londra!

A questo punto chiudo con un’inevitabile digressione, per postare alcuni brani che furono la sigla di trasmissioni sportive italiane del passato.

A dir poco strepitosi, no?


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