Ritorno al Futuro: un milkshake al Fatboy’s Diner

Trinity Buoy Wharf, 64 Orchard Place – Docklands Light Railway: East India

Per apprezzare fino in fondo il luogo di cui vi parlerò oggi c’è un rigido dress code, se ve la sentite: un paio di Nike Bruin ai piedi, jeans classici, t-shirt rossa, camicia a quadrettoni e giubbetto in denim con le maniche risvoltate (!). Il tocco finale è un gilet imbottito. In pochi minuti vi sarete così incarnati nel leggendario Marty McFly, il protagonista di “Ritorno al Futuro”.

Come Marty sarete pronti per un viaggio indietro nel tempo che, grazie al flusso canalizzatore di The LondoNerD, vi farà atterrare nel lontano 1955. Non visiterete però Hill Valley, in California, bensì un angolo di Londra affascinante e non troppo conosciuto: Trinity Buoy Wharf.

E’ un’area che fino al 1988 ospitava lo stabilimento della Trinity House adibito alla manutenzione delle navi faro e al deposito delle boe che facilitavano la navigazione nel Tamigi. La si raggiunge con una passeggiata di una decina di minuti dalla fermata East India della Docklands Light Railway. Al di là del fiume c’è la O2 Arena progettata da Richard Rogers e inaugurata nel 1999 con il nome di Millennium Dome.

Una ventina d’anni fa Trinity Buoy Wharf è diventato un “centro per le arti e per le attività culturali”. Ospita ad esempio Container City, un complesso di studi e uffici ricavati dai grandi parallelepipedi in metallo utilizzati per le spedizioni via mare.

Da qualche anno, accanto ai containers, c’è un’attrazione che ne richiama la forma ma che ha una storia davvero affascinante. Si chiama Fatboy’s Diner ed è una piccola tavola calda, di quelle che si trovano sparse per tutti gli Stati Uniti. Ma com’è finita qui, sulle rive del Tamigi?

Intanto vi racconto la mia visita, nel maggio dello scorso anno.

Per prima cosa la mia attenzione è catturata dal faccione di Fatboy, che accoglie i clienti con un motto promettente: “For a mighty fine dine”.

Appena entrato ho subito la sensazione di essere stato catapultato nell’America degli anni ’50…

L’interno ricorda la carrozza ristorante di un treno e in effetti i primi diners furono costruiti a partire dagli anni ’20 del secolo scorso proprio partendo dalla struttura di un vagone ferroviario. Un lungo bancone è affiancato da una quindicina di sgabelli con la seduta in pelle rossa. Rivestimenti in fòrmica, lucide cromature, piastrelle smaltate… tutto sembra autentico e ben conservato.

A destra del bancone ci sono alcuni tavolini con un piccolo juke-box e comodi divanetti rivestiti di pelle.

Il menu è decisamente invitante ma, dato che sono le tre e mezzo del pomeriggio e che ho già pranzato in un pub di Soho, mi limito ad ordinare un milkshake.

Il giorno in cui vorrò farmi molto male tornerò al Fatboy’s Diner per cimentarmi nella “Meateor Challenge”: divorare in meno di 15 minuti quello che vedete nell’immagine seguente.

Pane, quasi 7 etti di hamburger, pancetta croccante, anelli di cipolla pastellati nella birra, formaggio cheddar, patatine fritte e un milkshake grande. Chi riesce nell’impresa paga metà la consumazione e ha il privilegio di vedere la propria fotografia appesa all’interno del ristorante.

Proprio qui, appoggiati a questo stesso bancone e sorseggiando un milkshake simile al mio, Gwyneth Paltrow e John Hannah girarono una scena di “Sliding Doors”, film del 1998.

Il passato del locale mi incuriosiva e quindi ho fatto un po’ di ricerche su internet, che mi hanno portato sulle pagine di Diner Hotline, un blog in cui un tale Larry Cultrera ha finora visitato e fotografato qualcosa come 807 diners in tutti gli Stati Uniti!

E’ grazie a lui che ho scoperto il passato nomade del Fatboy’s Diner…

Costruita in Massachusetts nel 1955 da uno dei maggiori produttori di diners, la defunta Worcester Lunch Car Company, la tavola calda fu installata lo stesso anno a Georgetown, cittadina a nord di Boston.

Rimase lì fino al 1982, con il nome di Randy’s Roast Beef (e a quanto pare lo chef si cimentava anche nella pizza!). In quell’anno l’attività chiuse e l’intero locale fu caricato su un rimorchio e portato altrove in attesa di essere venduto.

Rimase 7 anni abbandonato, parcheggiato in una zona rurale a qualche chilometro di distanza.

Dopo un viaggio fino a Los Angeles per un tentativo di vendita andato a vuoto, fu finalmente venduto nel 1992 ad un imprenditore inglese che lo piazzò prima nel mercato di Spitalfields e poi nei pressi di Bishopsgate, riscuotendo in entrambi i casi un certo successo. Infine, qualche anno fa, il trasloco definitivo a Trinity Buoy Wharf.

Qui svolge ottimamente il suo ruolo di macchina nel tempo per i clienti che varcano la sua soglia ed è attorniato da installazioni artistiche come ad esempio Floodtide, che crea musica sfruttando il flusso di marea del Tamigi.

Trinity Buoy Wharf ospita anche l’unico faro esistente a Londra, chiamato Bow Creek. Costruito nel 1864, non è più in funzione da tempo e serviva per l’addestramento dei futuri guardiani dei fari sparsi per tutta la Gran Bretagna.

Qui fece i suoi esperimenti per un periodo lo scienziato Michael Faraday, inventore tra le altre cose dell’omonima gabbia e del becco di Bunsen.

Questa è la visuale sul Tamigi che si gode dalla sommità del faro.

All’interno dell’edificio potete ascoltare “Longplayer”, il brano musicale la cui esecuzione è iniziata il 1° gennaio 2000 e che continuerà ininterrotto e senza ripetizioni per 1000 anni.

E’ un computer, tramite un semplice algoritmo, a scrivere la musica che viene eseguita tramite gong e campane tibetane.

Potete ascoltarlo in streaming in qualsiasi momento, visitando questa pagina: https://longplayer.org/

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