La OXO Tower e l’astuto stratagemma

Bargehouse Street – Tube: Blackfriars


In un post di qualche anno fa vi invitai a provare una delle esperienze più sublimi che a mio parere si possano fare a Londra: indossare un paio di auricolari, camminare verso il Waterloo Bridge e, una volta giunti a metà, affacciarsi sul Tamigi sulle note della “canzone perfetta”, Waterloo Sunset.

Non mi stancherei mai di ascoltarla, davvero.

Avevo illustrato quel post con un paio di fotografie che avevo scattato dal ponte, entrambe nella stessa direzione, quella di Westminster e del London Eye, per capirci. Fotografie ovviamente scattate al tramonto, in linea con il titolo della canzone.

Oggi, invece, vi propongo di passare sull’altra sponda e di affacciarvi sul lato opposto, quello che guarda verso est.

Fatelo quando è calato il sole e si sono accese le luci. Vedrete illuminata la cupola di St. Paul’s, un tempo molto più evidente e oggi quasi sommersa dalla mole dei grattacieli della City, sempre più numerosi e sempre più opprimenti. Scorgerete il vecchio edificio della City of London School, quintessenza dell’architettura vittoriana, oggi sede di J. P. Morgan. E poi il Blackfriars Bridge, tristemente noto per la misteriosa morte del banchiere Roberto Calvi nel Giugno del 1982.

Immediatamente a destra del ponte, scorgerete una scritta luminosa, di colore rosso, posizionata in verticale: OXO.

A prima vista non sembra niente di che, è una semplice insegna pubblicitaria, installata sulla parete di una torre non molto slanciata che sporge da un edificio affacciato sul fiume.

La sua storia è più complessa e inizia nel 1929.

Nella prima parte del Novecento Londra era una città all’antica, dove la pubblicità era considerata qualcosa di volgare. Si trattava di una reazione di rigetto dopo gli eccessi del secolo precedente.

Nell’Ottocento, infatti, Londra era tappezzata di cartelloni, i negozianti facevano a gara tra loro per chi aveva le insegne più grandi e vistose e in alcune strade i muri delle case erano totalmente ricoperti di annunci pubblicitari.

Questo acquerello del 1835, opera di John Orlando Parry, è sufficientemente esemplificativo.

Quando le altezze delle abitazioni, degli uffici e delle fabbriche cominciarono a crescere, le autorità cominciarono a temere il peggio e decisero di vietare l’affissione di manifesti sugli edifici.

Questa legge era ancora in vigore nel 1928, l’anno in cui la Liebig’s Extract of Meat Company acquistò un enorme fabbricato sulle rive del Tamigi, accanto al Blackfriars Bridge. Originariamente era una centrale elettrica costruita per fornire energia alla Royal Mail ma i nuovi proprietari decisero di trasformare l’edificio in un enorme magazzino frigorifero.

Il progetto fu affidato all’architetto Albert Moore, che demolì la maggior parte del fabbricato ma ne conservò la facciata, ampliandola. Il committente desiderava che dall’ultimo piano sporgesse una torre imponente, sulla quale installare una grande insegna luminosa che sponsorizzasse il nome del suo prodotto di punta, i cubi di brodo di manzo OXO.

Si trattava di dadi da cucina, concentrati a base di carne di manzo, brevettati da Liebig nel 1910. Erano la versione solida della prima invenzione di Justus von Liebig, un liquido viscoso fatto di estratto di carne e sale. I cubi, più economici e incartati singolarmente, costavano un penny.

Il loro enorme successo fu aiutato dalla pubblicità. Liebig sponsorizzò le Olimpiadi londinesi del 1908 e fornì ai partecipanti alla maratona una bevanda fortificante a base di OXO.

Cinquant’anni dopo, nel 1958, partì una campagna pubblicitaria sul piccolo schermo, intitolata “Life with Katie”, piena degli stereotipi dell’epoca. Katie, interpretata da Mary Holland, era una casalinga che cucinava senza sosta per il marito. Aiutata però dai formidabili cubi OXO, “fatti con nove ingredienti”.

Negli anni ’70 cambiò lo stile e OXO ingaggiò Dennis Waterman, attore con la fama di spaccone, per dare un taglio più giovanile al prodotto.

Gli anni ’80, invece, videro il ritorno della “famiglia tradizionale”.

Ma torniamo al 1928 e ai problemi dell’architetto Moore: Liebig voleva a tutti i costi una torre ricoperta di insegne luminose ma la legge lo impediva. Come fare?

“Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione.”

La citazione è tratta da un capolavoro di Mario Monicelli, “Amici Miei”, e calza perfettamente. L’architetto Moore si mise al tavolo da lavoro e trovò una soluzione geniale: su ognuno dei quattro lati della torre inserì tre enormi finestre, una sopra l’altra.

“Casualmente” le finestre avevano la forma di un cerchio, di una croce e di un altro cerchio. Illuminate con una luce rossa, la notte formavano la scritta OXO, visibile a chilometri di distanza.

In questo modo la Liebig e Moore riuscirono ad aggirare la legge: si trattava di architettura, non di volgare pubblicità!

Un ingegnoso sotterfugio, simile al gesto compiuto ogni giorno da milioni di massaie inglesi del tempo: lo sbriciolamento di uno o due cubi di OXO in un recipiente d’acqua calda, per ottenere in pochi secondi un ottimo gravy.

Oggi l’edificio della OXO Tower è tante cose insieme. Dopo aver rischiato la demolizione, è stato acquistato dal Greater London Council nel 1984 e rivenduto ad una società senza scopo di lucro, Coin Street Community Builders, che lo gestisce tuttora.

I primi due piani ospitano gallerie d’arte e negozi di design e artigianato, mentre all’ottavo e ultimo livello ci sono un noto ristorante e una galleria panoramica. I profitti che derivano da queste attività commerciali sono reinvestiti dalla cooperativa a favore dei residenti dei 78 appartamenti sparsi tra il terzo e il settimo piano.

Chissà quanto pagò la Sony dieci anni fa, quando per il lancio della Playstation 4, ottenne il permesso di modificare per qualche giorno l’aspetto della OXO Tower…



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