103 Notting Hill Gate – Tube: Notting Hill Gate
E’ il momento giusto per un evento di questo genere. Nel pieno dell’incognita chiamata Brexit, mentre l’intera Europa è attraversata da una ventata di populismo che appare irrefrenabile, la comunità letteraria italo-londinese ha ideato e organizzato con l’aiuto dell’Istituto Italiano di Cultura un festival per confrontarsi su questo ed altri temi.
Tra un mese esatto, il 21 ottobre, un affascinante teatro vittoriano di Notting Hill spalancherà le sue porte per ospitare il FILL, Festival Italiano di Letteratura a Londra / Festival of Italian Literature in London.
The LondoNerD, come sempre, parte da lontano e vi riporta al 1898, anno in cui fu inaugurato il Coronet Theatre. Il suo architetto, W.G.R. Sprague, divenne famoso a cavallo del ‘900 per i numerosi teatri disegnati nel West End, come il Wyndham’s, l’Ambassadors e il St Martin’s (gli ultimi due sono le sale londinesi che hanno ospitato una dopo l’altra la “Trappola per topi” di Agatha Christie). Il Coronet rimane il più vecchio superstite dei teatri londinesi di Sprague.
Nei primi anni di attività ebbe un successo straordinario. Il re Edoardo VII era un assiduo spettatore, verosimilmente per applaudire la bellissima Lillie Langtry, sua storica amante. Le tavole del palcoscenico furono calcate da autentici mostri sacri del teatro come Ellen Terry e Sarah Bernhardt.
Con lo scoppio della prima guerra mondiale le fortune del Coronet cominciarono a declinare, anche a causa della lontananza dal West End, e dal 1916 agli spettacoli teatrali si affiancò la proiezione di film muti. Poi, nel 1923, fu interamente trasformato in cinema e la sua capacità ridotta a poco più di mille posti. Lo schermo fu posto all’interno del boccascena e le apparecchiature di proiezione collocate nell’ex-galleria. Nel 1950 fu ribattezzato Gaumont e i posti vennero dimezzati con la chiusura del livello superiore, poi nel 1977 tornò a chiamarsi Coronet.
Fortunatamente tutte queste trasformazioni non stravolsero l’aspetto dell’edificio che è sostanzialmente rimasto quello progettato da Sprague.
Il Coronet è comparso in passato in numerosi film, programmi tv e spot pubblicitari. L’apparizione più nota è senza dubbio la scena di Notting Hill in cui Julia Roberts e Hugh Grant sono seduti in platea e lui indossa una maschera da snorkeling.
Altra curiosità: è stato l’ultimo cinema londinese a consentire agli spettatori di fumare in sala. Ne parla Peter Ashley in “More London Peculiars”, aggiungendo che negli anni novanta era anche tollerata l’usanza di portare in sala la propria scorta di birra. All’ingresso era fondamentale riuscire ad evitare il gestore del cinema, che aveva il brutto vizio di decantare la bellezza del film e di raccontarne il finale prima che iniziasse la proiezione! Se poi una quantità eccessiva di birra rendeva necessario un salto in toilette, quella del piano superiore permetteva di non perdere nemmeno una scena della pellicola se si lasciava un po’ socchiusa la porta.
Nel corso della sua esistenza il Coronet ha rischiato più volte la chiusura o la demolizione (negli ’90, ad esempio, rischiò di diventare un McDonald’s). Penultima proprietaria è stata una congregazione della Chiesa Pentecostale, circostanza che non ha fortunatamente influito sulla programmazione laica e indipendente della sala, tanto che l’ex premier David Cameron assistette qui alla prima di “Brokeback Mountain” nel 2005.
Dal 2014 il Coronet, smessi i panni del cinema, è la nuova casa di The Print Room, un teatro indipendente che ha intrapreso un impegnativo e appassionato lavoro di restauro e che ospita produzioni di notevole qualità.
Come ogni vecchio teatro londinese anche il Coronet ha il suo fantasma, anzi pare che qui ce ne siano due. La prima è una cassiera che un giorno fu scoperta a trafficare con le ricevute di pagamento: mentre veniva interrogata nell’ufficio del direttore, improvvisamente lasciò la stanza, salì di corsa le scale e si gettò dalla balconata. Il secondo spettro è un attore di mezza età vissuto ai primi del secolo scorso che compare ogni tanto tra il pubblico, semplicemente per assistere allo spettacolo in corso.
Ora che sapete di più del glorioso passato di questo posto, torno a parlarvi del FILL.
Due giorni di eventi, oltre 30 ospiti, autori e voci di diversi ambiti, nomi
notissimi e altri più giovani e radicali – italiani, britannici e internazionali. Si parlerà di letteratura, politica, migrazioni, genere, Italia, il presente e il futuro di Londra, il modo in cui la Brexit sta già cambiando il romanzo. Gli organizzatori hanno scelto di non seguire la formula classica del festival di letteratura, con una semplice vetrina di nomi più o meno famosi, preferendo ragionare sui temi mescolando protagonisti italiani e non.
Il programma include “Citizens of Nowhere?”, titolo mutuato da una
famigerata dichiarazione di Theresa May, con il Premio Strega Melania Mazzucco e l’autrice franco-americana Lauren Elkin. Il medico di Lampedusa Pietro Bartolo lancerà l’edizione inglese del suo libro con la coautrice Lidia Tilotta e con Clare Longrigg del Guardian; Iain Sinclair, lo scrittore di Londra per eccellenza, presenterà il suo nuovo “The last London” e discuterà con Olivia Laing (“The lonely city”) e con il curatore della Tate Modern Andrea Lissoni; Christian Raimo e il politologo Jonathan Hopkin della London School of Economics, incalzati da Caterina Soffici, discuteranno di “Italian Politics for Dummies”; un dibattito su industria culturale e femminismo negli Anni Dieci riunirà un gruppo di voci forti, inclusa Sara Taylor e l’editor di Granta Ka Bradley.
Un panel di editori e professionisti dell’editoria britannica discuterà della
nuova onda di letteratura italiana tradotta nel mercato anglosassone nel
dopo-Ferrante; Giancarlo De Cataldo parlerà di romanzo e serialità per
celebrare il lancio mondiale su Netflix della serie “Suburra”. L’attesissimo
Zerocalcare incontrerà per la prima volta il pubblico londinese.
E ancora, una performance collaborativa di poesia commissionata dal festival con alcune delle voci più interessanti della nuova scena italiana e britannica; i giornalisti musicali Valerio Mattioli e Rob Young di The Wire; la rivista letteraria Colla con un numero dedicato ad autrici italiane che vivono fuori Italia; l’autore di bestseller per ragazzi Pierdomenico Baccalario con “The Brexit of Children”.
Il programma completo è qui: fill.org.uk
La scorsa settimana, al termine di un appuntamento di Pordenonelegge, ho avuto l’occasione di incontrare Marco Mancassola, che insieme a Claudia Durastanti ha concepito l’idea del FILL. Ne è nata una piccola intervista.
Marco Mancassola, scrittore classe 1973, vicentino (come me) da 6 anni trapiantato a Londra. Com’è nato questo festival?
L’idea originaria è venuta a me ma ho subito coinvolto un gruppo di italiani residenti a Londra. E’ stato successivamente fondamentale l’appoggio dell’Istituto Italiano di Cultura e del suo direttore Marco Delogu: senza di loro il festival non sarebbe probabilmente mai nato.
Come mai la scelta del Coronet Theatre?
Personalmente non lo conoscevo, è stato qualcuno dell’Istituto Italiano di Cultura a proporlo, ci è piaciuto subito perché è un posto che ha un grandissimo fascino.
Vuoi svelarci la tua Londra preferita?
Ci sono due luoghi che per me rimangono una spanna sopra gli altri: Soho e Brixton, il quartiere in cui vivo. Nonostante non sia più quella di un tempo, Soho rimane una zona vivacissima, culturalmente stimolante, è il posto dove tutti abbiamo passato le serate a 18 anni la prima volta che abbiamo messo piede a Londra. Certo, oggi è un po’ triste vedere l’insegna di Caffé Nero in Old Compton Street…
Brixton è altrettanto unica, c’è un fortissimo senso di comunità. Ti faccio due esempi: la moneta locale, il Brixton Pound, con cui puoi pagare tranquillamente in moltissimi negozi (la banconota da dieci raffigura un celebre residente del passato, David Bowie). Il secondo esempio non sarà il massimo del politicamente corretto ma fa capire quanto questa comunità sia coerente, radicale e poco incline alle mezze misure: il giorno in cui morì Margaret Thatcher la gente si riversò in strada per festeggiare!
L’ultima domanda è sulla Brexit: ti spaventa?
Mi spaventa di più la stupidità di chi ci governa e questo non è un problema soltanto britannico. Il giorno dopo il referendum ci siamo improvvisamente resi conto che anche qui il sistema è vulnerabile, Brexit è stato il più inatteso di tutti i cigni neri a cui abbiamo assistito negli ultimi anni. La mia opinione è che sarà un’ulteriore fonte di crisi, soprattutto se molti europei decideranno di lasciare la Gran Bretagna.
Mi piace chiudere con le parole di Nicola Lagioia, direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino, a proposito del FILL:
“Nel cuore della grande comunità italiana a Londra pulsa una comunità
intellettuale di scrittori, giornalisti, traduttori, musicisti, professori, artisti, che hanno fatto del cosmopolitismo una cifra distintiva. Non credo si possano defnire cervelli in fuga. Sono il sale d’Europa. Hanno portato a Londra uno sguardo originale, e all’Italia restituiscono un’esperienza culturale preziosa. Il risultato non è forse solo una città ideale, ma un continente ideale, quello che tutti cercano, e che si mostrerà in pieno nei due giorni del suo primo festival letterario.”
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