81 Endell Street – Tube: Tottenham Court Road
“Dopo che fu letta la sentenza, Jack Neave fu accompagnato fuori dall’aula. Mentre scendeva le scale che conducevano alla cella, tutti i presenti potevano udire il pesante suono metallico del suo passo”.
Così il Daily Express del 27 Ottobre 1934 descriveva la scena del giorno precedente, svoltasi in un’aula dell’Old Bailey. Il “professor” Neave, alias Iron Foot Jack, iniziava a scontare una condanna a 20 mesi di lavori forzati per i fatti del Caravan Club di Endell Street, il “covo disgustoso di malvagità che stava corrompendo la gioventù di Londra”, come lo descrisse il giudice al momento di sgombrare l’aula.
Ma quali orribili fatti erano mai avvenuti in questo locale che sorgeva a metà strada tra il British Museum e Covent Garden?
Un paio di mesi prima, all’alba del 25 Agosto, la polizia aveva fatto irruzione nel seminterrato del civico 81, arrestando 103 individui. Da qualche settimana agenti in borghese frequentavano il locale dopo che i residenti della zona avevano fatto numerose segnalazioni, descrivendolo come “luogo di perdizione” e “covo del vizio”.
Se vi recate oggi in Endell Street troverete questo portone scuro in ferro, con vari campanelli e una piccola grata rettangolare che permette di intravedere uno stretto vicolo.
E’ qui che accadde tutto quello che sto per raccontarvi. Per calarci nel clima è necessario sapere che al tempo l’omosessualità (maschile) in Gran Bretagna era considerata un reato e che si sarebbe dovuto attendere il Sexual Offences Act del 1967 per ottenere un passo avanti nel campo dei diritti. Nella Londra del 1934, pertanto, i numerosi ritrovi frequentati da omosessuali erano oggetto delle attenzioni della polizia, che in genere tollerava la situazione ma interveniva inesorabilmente se arrivava la segnalazione di qualche crociato della moralità pubblica.
Il Caravan Club aprì i battenti il 14 Luglio, autodefinendosi da subito “il più grande ritrovo bohémien di Londra”, una descrizione in codice per sottintendere la sua vocazione gay-friendly.
I gestori, con tutta probabilità, sapevano fin dall’inizio che il locale sarebbe stato chiuso nel giro di qualche mese. Arredarono quindi lo squallido seminterrato con le prime cose che riuscirono a raccattare: qualche divano malconcio, cuscini di varie dimensioni, tessuti appesi al soffitto. Sapevano che le danze non sarebbero durate a lungo…
Il Caravan Club ebbe un successo clamoroso, registrando ben 445 membri nelle prime settimane e venendo visitato da almeno 2000 avventori.
Altrettanto clamoroso fu però il processo che seguì all’irruzione della polizia, con una folla di curiosi che non potè entrare nell’aula ma si accalcò all’ingresso del tribunale, bloccando il traffico, per sbertucciare i poveri imputati.
I poliziotti che avevano frequentato il club in borghese prima del raid dichiararono davanti al giudice che avevano assistito a “scene disgustose”: uomini che ballavano tra loro, maschi che si presentavano con il nome di Josephine o Henrietta, donne che erano evidentemente delle prostitute.
Non mancarono momenti comici. La difesa chiamò a testimoniare una ballerina, Carmen Fernandez, con il ruolo di esperta, per dimostrare che danze come la Rumba e la Carioca non erano in fondo così indecenti, tanto da essere ballate nei locali più rinomati del West End.
La difesa la invitò a fare una dimostrazione pratica della Rumba in aula ma il giudice Holman Gregory intervenne scandalizzato:
“Non accadrà niente del genere di fronte a questa Corte!”
La sentenza arrivò come detto il 26 Ottobre: i due gestori del Caravan Club furono gli unici condannati, con la pena dei lavori forzati. 12 mesi a Billy Reynolds, 24 anni, alcuni precedenti penali a suo carico. 20 mesi al “professor” Jack Rudolph Neave, 48 anni, il protagonista del nostro post.
Il quadro che lo raffigura pensoso in un caffè di Old Compton Street è opera di Clifford Hall e risale all’epoca del Caravan Club. Ma chi era Jack Rudolph Neave?
La sua biografia, in particolare quella dei primi anni, è molto incerta. Nacque in Australia, in un sobborgo di Sydney, probabilmente nel 1886 ma fu portato in Inghilterra in giovane età dai genitori. Il padre si dileguò nel nulla poco dopo l’arrivo in Europa e la madre morì l’anno successivo. Affidato ai nonni, Jack entrò in riformatorio ma scappò ben presto, unendosi ad alcuni zingari e cominciando a lavorare in un circo itinerante come uomo forzuto ed escapologo. Iniziò anche a predire il futuro e fondò la religione dei “Bambini del Sole”.
Ad un certo punto avvenne il misterioso incidente che gli avrebbe regalato il soprannome di Iron Foot Jack. Raccontò in seguito al suo biografo Mark Benney degli aneddoti sempre diversi ed improbabili sulla natura dell’infortunio: attaccato da uno squalo mentre cercava perle nell’oceano, travolto da una valanga in Tibet, un colpo di fucile quando era un contrabbandiere, …
In ogni caso la sua gamba destra fu accorciata e per camminare fu costretto ad utilizzare una protesi in ferro applicata sotto la pianta del piede. Nasceva così uno dei personaggi leggendari della Londra del Novecento.
Dopo il processo del Caravan Club, Iron Foot Jack divenne un’icona di Soho. Viveva di espedienti, vendendo perline porta a porta o proponendo ai passanti le sue poesie scritte su ritagli di giornale ingialliti. Si incoronò “Re dei bohémiens”, esperto dell’occulto e si contornava di discepoli come un moderno Socrate.
Frequentava i caffé di Soho invece dei pub perché a quanto pare si poteva sostare più a lungo ordinando una semplice tazza di thé. Era d’altra parte molto spesso in stato di ubriachezza.
Ho recentemente scambiato due parole con Pablo Behrens, il regista di “Adrift in Soho”, un film di prossima uscita nel quale compare tra i personaggi anche Jack Neave. Chi lo conosceva, ad esempio il cantante George Melly e lo scrittore Colin Wilson (dal cui romanzo omonimo è tratto il film), era convinto che Iron Foot Jack avesse dedicato l’intera vita a “diventare un personaggio”. Non era un vero “bohémien” ma era abilissimo nel fingere di esserlo. Ogni abitante di Soho (il Soho-ite), sostiene Behrens, si differenzia da chi vive al di fuori del quartiere e possiede qualcosa che sottolinea questa separazione: Jack Neave, con il suo handicap fisico, rendeva più che palese questo concetto.
Era vestito sempre nello stesso modo, con un sudicio vestito nero, una larga cravatta sulla camicia logora ed un mantello scuro. Chi lo avvicinava faceva spesso fatica a tollerare il tanfo che lo circondava (George Melly lo definì “quello di una capra in calore”).
Su di lui giravano leggende meravigliose. Pare che un giorno decise di aprire un ristorante che non aveva un cuoco ma nemmeno il cibo da servire ai clienti. Il menu prevedeva soltanto “poisson et pommes frites” (un banalissimo fish & chips) e quando l’avventore si azzardava ad ordinarlo, uno sguattero veniva mandato nel vicino locale che lo vendeva per asporto. Tornato velocemente al “ristorante”, il tutto veniva elegantemente composto in un piatto e servito all’ignaro cliente.
Anche questo era il leggendario Iron Foot Jack.
Lo si vede (a colori!) tra gli avventori del “French” di Soho, al minuto 5:11 di questo prezioso filmato.
E compare anche all’inizio di un film di British Pathé, “Soho Goes Gay”.
Morì in solitudine il 29 Settembre 1959 e riposa da allora tra le anime del cimitero di Hampstead.
Impostore o meno, Iron Foot Jack rimarrà un simbolo di un’epoca che se n’è andata per sempre. Rimane questo piccolo vicolo nascosto in Endell Street: se passate di lì buttate l’occhio e poi entrate nel primo bar nei paraggi (avrete l’imbarazzo della scelta!). Ordinate qualcosa di forte e fate un brindisi in memoria del vecchio Jack.
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