Battersea Park – National Rail: Battersea Park
“All’epoca non esistevano i telefoni cellulari. Quella sera, quando rincasai, mia madre mi accolse sulla soglia e mi disse: ‘Ringraziando il cielo oggi non sei andata a Battersea, c’è stato un terribile incidente!’. Con aria mortificata le risposi: ‘Penso sia meglio che tu ti sieda mentre ti racconto la mia giornata’. E cominciai a parlare.”
Nel 1972 Carolyn Adamczyk aveva 14 anni e viveva nel sobborgo di Hackney. Martedì 30 Maggio, approfittando di una breve chiusura delle scuole, si unì ad alcuni amici diretti al luna park di Walthamstow. Quando giunserò lì, con grande sorpresa, trovarono i cancelli sbarrati ma questo imprevisto non intaccò il loro buonumore. Decisero infatti di prendere la metropolitana e di attraversare l’intera città, per sbucare a sud del Tamigi e varcare l’ingresso di Battersea Park.
Maggio 1951. Elsa Vaudrey era una donna di 46 anni con un matrimonio alle spalle. Dopo la separazione dal marito aveva lasciato la campagna del Somerset e aveva traslocato con i suoi tre figli in una casa del Settecento sulla trafficata King’s Road, a Chelsea. La guerra era finita da pochi anni, buona parte di Londra mostrava ancora le ferite dei bombardamenti tedeschi, ma la ricostruzione era iniziata. Per sollevare il morale della nazione, per dare ai cittadini britannici la certezza che sarebbero tornati il benessere e la prosperità, si era pensato ad un evento straordinario, a cento anni esatti dalla Great Exhibition del 1851. Era nato così il Festival of Britain, definito dal suo direttore Gerald Barry “un tonico per la nazione”.
“Nel 1972 non esistevano i telefoni cellulari. Questo significa che nessuno dei nostri genitori sapeva che eravamo a Battersea. C’ero già stata più volte, ovviamente. Per noi londinesi la parola “Battersea” era il sinonimo di luna park. Ricordo i caroselli, gli scivoli a spirale, una giostra in cui salivi a bordo di vagoni che salivano lentamente per poi precipitare lungo uno scivolo e terminare la corsa nell’acqua.”
Ma l’attrazione preferita da Carolyn e dai suoi amici erano senza dubbio le montagne russe, chiamate Big Dipper.
Il Festival of Britain, inaugurato il 3 Maggio del 1951, si svolse in vari luoghi di Londra. Il sito principale fu certamente South Bank, dove sorsero edifici che durarono lo spazio del festival (il Dome of Discovery antenato del Millennium Dome e il bizzarro, avveniristico Skylon) e altri che sopravvissero, come la Royal Festival Hall, uno dei primi esempi di modernismo post-bellico.
Ci furono poi eventi a Poplar, South Kensington e infine a Battersea Park, dove nei progetti degli organizzatori si sarebbe espresso il lato leggero e spensierato del festival. Nacquero qui i Festival Pleasure Gardens e la Battersea Fun Fair.
The LondoNerD tornerà spesso da queste parti, per raccontarvi cos’erano i meravigliosi e surreali giardini e per immergervi nel chiasso gioioso del luna park. Mi farò guidare dalla guida ufficiale, uno dei pezzi pregiati della mia collezione.
La Londra del 1951 non era quella di oggi, era una città cupa, con tanta voglia di rinascere ma ancora immersa nel grigiore. Giostre mai viste, colori sgargianti, luci vistose… i londinesi cominciarono a riversarsi a frotte sulla sponda sud del Tamigi per fuggire dalla realtà e ricominciare a sorridere. Fin dall’inaugurazione l’attrazione principale fu il Big Dipper, un ottovolante che correva su una struttura di legno alta 15 metri.
Nelle settimane precedenti l’apertura del luna park, Elsa Vaudrey riuscì a ottenere un permesso per frequentare il cantiere: era infatti amica di molti degli artisti che avevano disegnato le strutture dei Pleasure Gardens, come ad esempio il Guinness Clock. Li conosceva perché era lei stessa una pittrice. Dipingeva spesso sulle rive del Tamigi, che distava pochi minuti da casa.
Bazzicando il cantiere del luna park si era ingraziata i carpentieri che stavano ultimando e collaudando il Big Dipper, i quali la facevano spesso salire accanto a loro durante i giri di prova.
Poi, un giorno, li convinse a lasciarla entrare nelle prime ore della domenica, quando il luna park era chiuso al pubblico. Fu così che una mattina di Maggio del 1951 varcò i cancelli insieme ai tre figli, spingendo la vecchia carrozzina di epoca vittoriana su cui trasportava solitamente il materiale per dipingere. Il figlio più grande, Lindsay, non compare nelle seguenti fotografie perché fu lui a scattarle. Elsa Vaudrey, Amanda e Adam indossano un impermeabile e posano sorridenti e un po’ imbarazzati lungo le rotaie del Big Dipper, prima di mettersi al lavoro.
Elsa raffigurò ciò che vide su grandi fogli di carta con inchiostro di china, matite e guazzo. A mio parere i suoi disegni sono straordinari.
Riescono a rendere il colore, l’euforia, la ventata di novità che il luna park di Battersea rappresentava per Londra in quel momento.
30 Maggio 1972. Dopo una lunga coda, per Carolyn e i suoi amici fu finalmente il momento di pagare i 15 pence del biglietto e salire a bordo del loro vagone.
“Al momento di prendere posto due ragazzi ci spinsero via per superarci e sedersi al posto nostro sull’ultimo vagone, quello sul quale si provavano i brividi più forti. La loro arroganza, con ogni probabilità, ci salvò la vita.”
Il convoglio, composto da tre vagoni, cominciò a salire lentamente per raggiungere la sommità dalla quale si sarebbe poi lanciato a tutta velocità. Arrivato quasi in cima, però, si staccò improvvisamente dal cavo d’acciaio che lo stava trainando, ritornando indietro privo di controllo. Carolyn ricorda di essersi voltata e di aver visto il volto terrorizzato dell’addetto ai freni che tentava inutilmente di rallentare la caduta. Alla prima curva, l’ultimo vagone deragliò e volò via, sfondando una staccionata. Gli altri vagoni atterrarono su di esso. Il bilanciò fu tragico: 5 ragazzini persero la vita e altri 13 rimasero seriamente feriti.
Carolyn Adamczyk, a distanza di più di 40 anni, continua ancor oggi a rivivere quei momenti drammatici. “Mi ricordo il tentativo di salvare la ragazza accanto a me, che cadde dal vagone. Se l’avessi afferrata, però, sarei sicuramente caduta anch’io insieme a lei. Purtroppo nessuno di noi fu aiutato psicologicamente, i giornalisti ci intervistarono subito dopo l’incidente, senza alcuno scrupolo. Durante l’inchiesta che seguì la polizia mi chiese di indossare i vestiti che avevo quel giorno, per verificare se la giostra fosse stata caricata di un peso eccessivo. Inspiegabilmente non pesarono i miei amici, quindi non mi spiegai l’utilità di una verifica condotta così!”
L’inchiesta non portò ad alcuna condanna. Il Big Dipper fu smantellato e la Battersea Fun Fair, priva della sua principale attrazione, chiuse definitivamente un paio d’anni dopo, nel 1974.
Carolyn visse a Londra fino al 1984. Dal giorno dell’incidente non è più tornata a Battersea.
Elsa Vaudrey è scomparsa nel 1990, il giorno dopo aver compiuto 85 anni.
Oggi non è rimasto alcun segno del luna park, dove sorgeva c’è adesso uno zoo per bambini, mentre i Pleasure Gardens sono stati in qualche modo ricostruiti: ve ne parlerò presto.
Sono però riuscito ad individuare il punto in cui era il Big Dipper. Se ingrandite la foto che apre questo articolo, si nota un piccolo edificio, oggi adibito a deposito. Il Big Dipper passava proprio accanto ad esso, come potete vedere.
Ecco come si presenta oggi. E’ stato dipinto di verde scuro ma è senz’altro lo stesso edificio.
A Battersea Park si incociarono le vite di due donne che non si conobbero mai. La prima, un’artista, immortalò il Big Dipper come simbolo della rinascita della città dopo anni di grigiore e di tristezza.
La seconda fu testimone sfortunata ed incolpevole di una tragedia che chiuse definitivamente quell’epoca di spensierato ottimismo di cui oggi non rimane quasi traccia.
Ringrazio infinitamente Carolyn Adamczyk per l’intervista che mi ha concesso. I suoi ricordi, pur dolorosi, sono una testimonianza preziosa di una pagina significativa della Londra del ‘900.
Allo stesso modo sono riconoscente nei confronti di Adam Barker-Mill, il figlio più giovane di Elsa Vaudrey che compare nelle foto insieme a lei e alla sorella Amanda. Adam mi ha autorizzato a mostrare alcune delle foto che compaiono sul sito dedicato all’opera della pittrice (http://elsavaudrey.com) e mi ha aiutato a raccontare l’atmosfera di quel lontano, magico 1951.
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