Se quei muri potessero parlare…

Brookfield House – Elstead, Surrey

There′s a place I can get to
Where I’m safe from the city blues
And it′s green and it’s quiet
Only trouble was I had to buy it

Tra le pochissime cose buone che la pandemia ha portato nella mia vita posso sicuramente annotare le occasionali reunions virtuali dei Glass Onions, il gruppo in cui suonavo ai tempi del liceo a Vicenza.

Inseparabili fino all’inizio del nuovo millennio, ci sciogliemmo per cause di forza maggiore: dopo il diploma uno di noi si trasferì a Siena per l’università, l’altro a Pavia… insomma diventammo grandi e il nostro appuntamento per le prove del sabato pomeriggio saltò definitivamente.

Tutto era cominciato a Laghetto, quartiere della periferia nord della città. Qui, dove un tempo era (letteralmente) tutto cemento e oggi c’è l’erba sintetica di un campo da calcetto, si tenne il nostro debutto di fronte al pubblico del “Gheto Rock”, mitologico festival dell’estate vicentina. Correva l’anno 1995.

Nell’Ottobre del 2013, per un fortuito incastro, riuscimmo a ritrovarci tutti insieme su un palco. Ciccio arrivò apposta dalla Germania, Ivan salì da Roma e il giorno prima del concerto ci riunimmo tutti e quattro per le prove nella stanza di Claudio, il batterista.

Suonare insieme dopo quasi quindici anni fu sorprendente. Dopo un primo momento di prevedibile impaccio, gli accordi e i versi delle canzoni fecero capolino tali e quali dai nostri strumenti e dalle nostre voci.

Il concerto del giorno seguente riuscì bene e fu l’occasione per incontrare amici e compagni di scuola che avevamo perso di vista.

Poi i Glass Onions tornarono nuovamente in letargo. E’ stata la pandemia, come ho detto, a farli ricicciare.

L’anno scorso in primavera, costretti in casa come tutti, ci siamo rimessi in contatto. Ciccio, ormai trapiantato in Germania e padre di tre figli, ha affiancato il basso elettrico alla chitarra e ormai preferisce suonare il primo; Ivan, chitarra e voce, vive a Roma e dispensa meraviglie con il suo Bizzarro Bazar; Claudio, l’unico di noi ad aver scelto la carriera di musicista, insegna a suonare la batteria; io, anni fa, ho comprato un pianoforte digitale e mi impegno a non far accumulare troppa polvere sui tasti.

Questa reunion virtuale, ognuno da casa sua, ha prodotto due brani con cui ci siamo divertiti molto.

“My Babe”, scritta da Wilie Dixon e cantata da Little Walter nel 1955…

… e “Outside Woman Blues”, vecchio blues portato al successo nel 1967 dai Cream.

Quest’anno, da un’idea mia e di Ciccio, è nato un altro progetto a cui si sono subito aggiunti Ivan e Claudio. Avevamo entrambi da tempo il desiderio di fare la nostra versione di un pezzo che è all’interno di un album di Stephen Stills che io e Ciccio amiamo visceralmente, “Manassas”.

Un brano che mi ha poi regalato lo spunto per scrivere questo post.

“Johnny’s Garden”, infatti, nacque in un angolo di paradiso a un paio d’ore di distanza da Londra.

Elstead è un incantevole villaggio nella campagna del Surrey. Qui sorge Brookfield House, una casa che risale al 1600, costruita da un contadino che si chiamava Heath con del legno recuperato dalle navi che avevano combattuto e vinto contro l’Invincibile Armata spagnola.

Intorno alla metà del secolo scorso la storia di Brookfield House cominciò a farsi intrigante. Venne acquistata da Spencer Tracy, il divo di Hollywood, che nel 1964 la cedette a Peter Sellers. L’attore, che proprio quell’anno stava girando “Il Dottor Stranamore”, era in procinto di sposare Britt Ekland, attrice svedese che avrebbe recitato con lui nel magistrale “Uno sparo nel buio”.

La casa non era grandissima ma era confortevole. Tre stanze da letto, uno studio, una sala da pranzo, soggiorno, cucina e una sala di proiezione sopra il garage. Poi c’erano la sauna, una scuderia e un granaio dove spesso la coppia dava delle feste. La villa ospitava inoltre la faraonica collezione di automobili di Sellers.

Ma la migliorìa più importante che apportò l’attore fu senza dubbio la trasformazione del parco. Quelli che fino a quel momento erano degli acquitrini diventarono deliziosi laghetti e furono create delle dolci colline, popolate da alberi da frutto e da piante lussureggianti.

Ad aiutare Sellers fu John, il giardiniere, presenza quotidiana e uno dei pochi abitanti del villaggio a poter varcare i cancelli della villa.

Peter Sellers e Britt Ekland vissero a Brookfield House fino al 1968, l’anno del divorzio. L’attore vendette poi la casa a Ringo Starr, che aveva conosciuto sul set dello sgangherato “The Magic Christian”. Erano diventati amici, al punto che Sellers accettò l’offerta di 70.000 sterline nonostante John Lennon ne avesse offerte ben 150.000!

Il 12 Gennaio del 1969 la villa fu il teatro di un pezzo importante della storia dei Beatles. Due giorni prima George Harrison aveva lasciato il gruppo, incapace di sopportare le tensioni che si erano create tra i quattro nei mesi precedenti. In particolare i rapporti con John Lennon si erano guastati irrimediabilmente.

L’incontro di Elstead fu però un insuccesso: George litigò nuovamente con John e se ne andò sbattendo la porta.

Dopo appena un anno dall’acquisto, Ringo affittò la casa a Stephen Stills nel 1969. Il chitarrista texano trovò nella campagna inglese il riparo di cui aveva bisogno, la quiete, il silenzio e il luogo dove non pensare all’amore non corrisposto per Judy Collins, la “Judy Blue Eyes” del celebre brano inciso da Crosby, Stills & Nash.

Si innamorò a tal punto di Brookfield House da decidere di comprarla da Ringo Starr e di installarvi uno studio di registrazione.

John il giardiniere era ancora lì al suo posto, a potare le piante, a curare i laghetti e a fare crescere fiori meravigliosi. Stills lo osservava rapito dalle grandi finestre e conversava spesso e volentieri con lui, mentre beveva gli infusi preparati dal giardiniere.

John cominciava ogni frase con “Quando mister Sellers viveva qui…”. Un giorno l’attore tornò a Brookfield House apposta per incontrarlo. Henry Diltz, il celebre fotografo che in quel periodo era ospite di Stills, immortalò l’incontro tra il giardiniere e i due padroni di casa.

Se avete visto e amato uno dei film più belli di Sellers, “Oltre il giardino”, non farete fatica a capire a chi è ispirato il protagonista, Chauncey Gardiner…

Nel 1972, quando registrò il suo terzo album “Manassas”, Stephen Stills inserì una canzone dedicata a John. Il giardino di Brookfield House, nonostante fosse lui il legittimo proprietario, non apparteneva a lui, nè era stato di Sellers o di Ringo. Il giardino apparteneva a Johnny.

Ecco quindi la storia di questo brano e di una casa nella campagna del Surrey i cui muri, se potessero parlare, avrebbero molto da raccontare: il Dottor Stranamore che gira per le stanze con il copione in mano per ripetere le battute, la band più famosa della storia che vive il suo momento più drammatico, un chitarrista texano che scrive canzoni nel periodo più fertile della sua carriera.

Questa è la storia dell’ultimo brano inciso dai Glass Onions (per ora). Suonare rappresenta in fondo il nostro giardino, il nostro rifugio per dimenticare le fatiche quotidiane e ritemprarci con la musica.

Ecco a voi la nostra versione di “Johnny’s Garden”.

There′s a place I can get to
Where I’m safe from the city blues
And it′s green and it’s quiet
Only trouble was I had to buy it

And I’ll do anything I got to do
Cut my hair and shine my shoes
And keep on singin′ the blues
If I can stay here in Johnny′s garden

As the swift bird flies over the grasses
Dipping now and then, to take his breakfast
Thus I come and go and I travel
But I can watch that bird and then ravel

And I’ll do anything I got to do
Cut my hair and shine my shoes
And keep on singin′ the blues
If I can stay here in Johnny’s garden

With his love and his carin′
He puts his life into beauty sharin’
And his children are his flowers
And they give me peace in quiet hours

And I′ll do anything I got to do
Cut my hair and shine my shoes
And keep on singin’ the blues
If I can stay here in Johnny’s garden


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