Bellezza inattesa: la casa modernista di Ernő Goldfinger

2 Willow Road -National Rail: Hampstead Heath

Un consiglio prima di iniziare la lettura di questo articolo, per creare la giusta atmosfera: dedicate 4 minuti e 45 secondi alla visione di questo filmato…

E’ fatto di piccoli assaggi, di brevi e rilassate inquadrature di un’abitazione che ad una prima occhiata non colpisce più di tanto, se osservata da fuori. La facciata è lineare, quasi interamente ricoperta in mattoni e lascia intravedere un’anima in cemento armato.

Poi le immagini si spostano all’interno e un po’ alla volta notiamo tanti piccoli particolari che ci fanno intuire che queste mura probabilmente racchiudono una storia da raccontare. La casa appare disabitata ma ogni tanto giunge qualche segno di vita, come ad esempio il postino che infila un paio di lettere nella buca. Poi un telefono che squilla, i cassetti di una scrivania che si aprono uno alla volta ruotando attorno ad un perno.
La cosa che stupisce maggiormente è la quantità di luce che inonda le stanze, sempre maggiore man mano che il visitatore sale le scale a chiocciola, e non a caso il filmato termina con l’inquadratura di una finestra tonda che si apre sul cielo.
Fu grazie a questo video, scovato casualmente alcuni anni fa, che sentii parlare per la prima volta di Ernő Goldfinger.

Pochi mesi dopo, alla prima occasione in cui tornai a Londra, il numero 2 di Willow Road era in cima alla lista delle mete da visitare.
Ho già parlato del burbero architetto Goldfinger nell’ultimo post, dedicato alla Trellick Tower e al movimento a cui appartenne il suo artefice, il brutalismo.
Oggi entriamo nell’abitazione di Hampstead che progettò e fece costruire per la sua famiglia nel 1939.

Ernő Goldfinger nacque a Budapest nel 1902 e visse l’infanzia nelle foreste della Transilvania, dove il padre gestiva alcune segherie. Compiuti diciott’anni, fu mandato a Parigi per completare gli studi ed imparare il francese. Dopo aver considerato l’idea di diventare uno scultore, scelse la strada dell’architettura, affascinato dalla lettura di un’opera di Hermann Muthesius, Das Englische Haus, che descriveva l’architettura domestica inglese a cavallo tra ‘800 e ‘900.

Nella Parigi degli anni ’20 Goldfinger conobbe architetti affermati come Le Corbusier, Mies van der Rohe e soprattutto Auguste Perret, pioniere del cemento armato. La città era in quel periodo popolata da artisti provenienti da ogni parte del mondo e nel 1923 fu il luogo di nascita del surrealismo. Goldfinger conobbe e frequentò tra gli altri Marcel Duchamp, Max Ernst, Hans Arp e Roland Penrose: nel corso della sua carriera l’approccio surrealista rimarrà una presenza ricorrente.

I suoi primi lavori furono la progettazione degli spazi interni per gli studi dell’avvocato Suzanne Blum e del pittore Richard Wyndham, di cui Goldfinger disegnò gran parte dell’arredamento.
Nel 1933 completò il suo primo edificio, una casa di vacanza a Le Touquet, e anche in questo caso i mobili portano la sua firma, in particolare una sedia che battezzò Safari.

Nel frattempo, nel 1931, aveva conosciuto la giovane ereditiera inglese Ursula Blackwell. I due si sposarono a Parigi due anni dopo.

Nel 1934 si trasferirono a Londra, dove Ernő aprì uno studio in Bedford Square, e presero casa nel moderno Highpoint I, progettato da Berthold Lubetkin.
Negli anni precedenti il secondo conflitto mondiale Goldfinger si dedicò principalmente alla progettazione di mobili e disegnò la vetrina e gli interni del negozio di Paul e Marjorie Abbatt in Wimpole Street.

In quegli anni i coniugi Abbatt stavano rivoluzionando il concetto di giocattolo: secondo la loro filosofia questo doveva essere funzionale nel design e allo stesso tempo educativo. I bambini che visitavano il loro negozio erano incoraggiati a toccare e ad interagire con i giocattoli esposti.

Verso la fine del decennio Ernő e Ursula scelsero la zona di Hampstead per stabilirsi definitivamente e costruire la propria abitazione. Prima del matrimonio la famiglia di lei aveva proposto a Ernő di finanziare il progetto di una casa a Parigi, dove i due avrebbero poi dovuto vivere. Goldfinger non era però convinto di stabilirsi nella capitale francese. In queste righe indirizzate alla futura moglie spiegava quanto fosse importante per lui l’ideazione della loro abitazione:

“You know what importance I attach to building my first house, and one specially for you, but one must know how to lose battles. We must think seriously how to conceive this house so that it does not become a weight which one drags after one for years or a chain that attaches us to one place.”

La loro scelta ricadde su Hampstead perché in quegli anni questo tranquillo quartiere a nord della città era popolato da intellettuali ed artisti. Basta fare i nomi di Henry Moore, Barbara Hepworth, Piet Mondrian e Ben Nicholson: un ambiente stimolante, che probabilmente ricordava ai Goldfinger gli anni trascorsi a Parigi.
Si susseguirono vari progetti, fino a quando l’architetto sottopose l’idea definitiva per avere l’approvazione dell’Hampstead Borough Council.

Il benestare arrivò dopo mesi di polemiche e di proteste da parte di alcuni residenti della zona, in particolare di Henry Brooke, segretario della “Heath and Old Hampstead Protection Society”: per costruire l’abitazione di Goldfinger era infatti necessaria la demolizione di un gruppo di cottage. Anche lo scrittore Ian Fleming, futuro creatore dell’Agente Segreto 007, si unì al coro di quanti gridavano allo scandalo. L’antipatia per l’architetto nacque in questa occasione e Fleming penso a lui quando si trattò di dare un nome ad uno dei più famosi antagonisti di James Bond, Auric Goldfinger.
I permessi per costruire arrivarono e la casa fu completata nell’estate del 1939, proprio alla vigilia della seconda guerra mondiale.

Comprende tre singole abitazioni affiancate, di diverse dimensioni. Goldfinger tenne per sé e per la propria famiglia quella centrale, al civico numero 2.
Dal punto di vista architettonico la particolarità dell’edificio sta nell’utilizzo del cemento armato che permette di aprire grandi finestre nella facciata e pertanto di avere molta luce all’interno: Ernő e Ursula erano grandi amanti dell’aria aperta e questa soluzione era il modo per collegare la casa con gli spazi verdi circostanti.
La facciata è per buona parte ricoperta di mattoni, omaggio alle case a schiera di epoca georgiana e allo stesso tempo il tentativo riuscito di richiamare i colori delle abitazioni vicine.
A proposito di colori, questi giocano un ruolo importante, a partire dalle porte di ingresso delle tre diverse unità, una diversa dall’altra: bianca, blu, rossa. All’interno del civico 2 la sequenza di colore delle pareti e dei dettagli non è casuale e deriva dagli esperimenti di Le Corbusier e di Ozenfant, che a loro volta si erano ispirati ai pittori cubisti, Braque e Gris su tutti: la tavolozza diventa più chiara e brillante man mano che si procede verso l’alto.
L’ingresso è pertanto scuro, con il soffitto basso, illuminato dalla parete in vetro opaco suddivisa in tanti comparti che fanno da cornice a vasi e piccole sculture di animali.

Da qui parte una scala a chiocciola in cemento decisamente moderna ma alleggerita da un elegante corrimano in bronzo e da una balaustra fatta di corda. Fu progettata dal celebre ingegnere Ove Arup, amico di Goldfinger.

Al piano nobile troviamo la sala da pranzo, con mobili disegnati da Goldfinger, e lo studio. Le due stanze sono separate da pareti che si possono piegare e nascondere, creando così un unico spazio.

Un montacarichi partiva dalla cucina nel seminterrato e attraversava la casa per tutta la sua altezza, portando le vivande a ogni piano.

La scrivania dello studio proviene dall’ufficio dell’architetto, che venne chiuso definitivamente nel 1977. Alle pareti moltissimi volumi e una delle sei copie di “Goldfinger” che Ian Fleming fece recapitare dopo la querelle che seguì la pubblicazione del romanzo.

Il salotto, separato anch’esso da pareti mobili, è rialzato di qualche gradino rispetto alle due stanze precedenti e si affaccia sul giardino retrostante.

Il caminetto sbuca da una bianca parete convessa e di fronte ad esso, dalla parte opposta della stanza, c’è una grande cornice di legno, pensata per esporre dipinti ed oggetti: un esplicito richiamo al surrealismo. Qui e in tutte le altre stanze troviamo opere di celebri artisti moderni: tra gli altri Bridget RileyPrunella Clough, Marcel Duchamp, Henry Moore e Max Ernst.

Tantissimi i dettagli originali, come l’orologio di tipo aeronautico e gli interruttori delle luci incassati nella parete di legno che riporta sulle scale.

Si sale un’ultima rampa e si giunge al piano superiore, dove ci sono una stanza matrimoniale, quella per gli ospiti (con il letto a scomparsa ed un lavandino con specchio ingegnosamente nascosto dentro un armadio) e la stanza dei bambini.
La camera dove dormivano Ernő e Ursula non è grandissima ma sembra più spaziosa grazie al letto decisamente semplice e basso: Goldfinger era convinto che le civiltà più evolute, come ad esempio quella giapponese, fossero quelle che dormono più vicine al terreno. Una libreria fatta di mensole collegate a tubi verticali è carica di libri e gli armadi a muro sono ingegnosi, ricchi di scomparti studiati a seconda degli indumenti che dovevano contenere. Il bagno interno alla camera è un piccolo gioiello, illuminato da un’apertura tonda sul soffitto.

La stanza dei bambini nasce dall’esperienza fatta con i coniugi Abbatt: sulle pareti, ad esempio, fu lasciato un intonaco grezzo, in modo che i bambini potessero disegnarci liberamente. La casa delle bambole di Liz Goldfinger fu costruita in compensato dal padre, a forma di moderno bungalow.

Con il passare degli anni la casa cambiava forma al suo interno, in base alle esigenze: quando i tre figli ormai adulti lasciarono la casa, ad esempio, la madre di Goldfinger si trasferì nella stanza che era stata dei bambini. La cosa divertente è che non volle separarsi dai suoi mobili in stile austro-ungarico. Visse qui fino alla veneranda età di 101 anni.

Ernő Goldfinger morì in Willow Road il 15 novembre 1987 e riposa da allora nel Golders Green Crematorium.

La mia visita al numero 2 di Willow Road, che risale ormai a due anni fa, è stata possibile perché dal 1995 la casa è stata acquisita dal National Trust. Sono stato accolto da una guida molto appassionata, un architetto in pensione che mi ha accompagnato all’interno della casa dispensando durante la visita aneddoti incantevoli sulla vita di un uomo considerato a torto dai suoi contemporanei burbero e antipatico.

La verità è che al civico 2 di Willow Road è racchiusa un’autentica, inaspettata bellezza.

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