Non posso dire che sia un piacere conoscerla


Questa è la seconda parte di un racconto diviso in sette capitoli, uscito a puntate nel 1928 sulle pagine dell’Evening Times. L’ho tradotto facendo del mio meglio e ho anche pensato ad un’immagine per illustrarlo. In questo post ho raccontato le bizzarre circostanze in cui lo rinvenni in un mercatino nel 2015. Buona lettura!

Mi permette di dirle una cosa, che esula dalla storia della surreale spedizione di cui stiamo raccontando?

Certo.

Ho sempre trovato in qualche modo assurdo che il dottor Watson abbia accettato di prendere servizio al Barts (nomignolo con cui è popolarmente noto a Londra l’ospedale di St. Bartholomew).

Perché? Parliamo pur sempre di uno degli ospedali più blasonati di Londra.

Certo, ed aggiungiamoci anche che, nel 1927, era appena stato ristrutturato. D’altronde, uno degli ospedali più blasonati di Londra: all’epoca del dottor Watson, e nella nostra, senza dubbio. Ma forse non bisogna dimenticare la sua storia.

Cioè?

Il Barts venne fondato nel 1123, per volontà del pio Rahere, il quale doveva dar seguito ad un voto che aveva fatto (in base alla sua testimonianza, di fronte a Cristo stesso, che gli era apparso sull’isola Tiberina, nei pressi della chiesa di San Bartolomeo) durante un pellegrinaggio a Roma. Per lungo tempo, tuttavia, il St. Bartholomew, per altro sorto, annesso ad un monastero, in quella che allora era la paludosa, estrema periferia di Londra, fu più un ospizio ed un ricovero per i poveri, che un luogo di cura. Poi, nel 1546, rifondandolo (la riforma anglicana da lui voluta aveva infatti chiuso i monasteri con annessi e connessi), Enrico VIII lo trasformò in un vero ospedale, spinto dal timore che un gran numero di londinesi poveri restasse senza alcuna assistenza e, chissà, forse anche nel tentativo di ascriversi qualche opera buona che potesse scusargli uno scisma e otto matrimoni terminati in disgrazia quando non nel sangue. Ma non è questo che volevo dire.

E allora cosa?

Ecco, mi pare assurdo che il dottor Watson abbia accettato di lavorare al Barts perché quello è l’ospedale in cui tentarono di salvare la vita a Wat Tyler, il leader della rivolta inglese dei contadini del 1381. Il dottor Watson, che aveva offerto la sua giovinezza all’Impero (è noto che combatté e venne ferito nella seconda guerra anglo-afghana), lavorare in un luogo che si era macchiato di una simile mancanza di rispetto nei confronti dei re d’Inghilterra!

Ma, se vogliamo, i contadini rivoltosi non ce l’avevano col re, quanto con i signori locali…

Non ne sarei così sicuro. In fin dei conti John Ball, un altro dei capi di quella sollevazione, ebbe a dire che le cose in Inghilterra non sarebbero andate bene finché non fosse stato messo tutto in comune, e non ci fossero più stati né vassalli, né signori… Direi che non è esattamente quello che direbbe un monarchico.

Vedo che conosce bene la rivolta dei contadini.

Oh, no. È solo che ho appena finito di leggere il testo di una targa che, poco lontano dal Barts, verrà inaugurata dal regista Ken Loach il 15 luglio del 2015.

Cosa? E lei come fa a saperlo?

Non si leggono a lungo i diari della signorina Theot, senza imparare qualcosa.

(da un’intervista, realizzata evidentemente prima del 2015, concessa dall’autore del presente libretto in occasione della sua uscita)


Sì, mi ricordo di aver visto questa ragazza: venne qui insieme a quel vecchio dottore, sir Arthur; no, non conosco il cognome. Penso avesse qualcosa a che fare con il povero dottor Watson, sa, quello che è sparito, perché dopo di loro è arrivata anche la signora Watson, ed alla fine li ho visti andare via insieme. Sì, è stato lo stesso giorno che sir Arthur… no, nulla, scusi ma questo non posso dirlo.

(dalla testimonianza di un inserviente del St. Bartholomew Hospital)


(trascrizione della registrazione effettuata dal dittafono di Sir Arthur)

Sir Arthur: Perdonami, ma non sono riuscito ad attendere, ho voluto subito mettere alla prova la signorina Theot, sicuramente ne hai sentito parlare…

Signora Watson: È lei la signorina Theot? Mi scuserà se le dico che sì, ho sentito parlare di lei e che di conseguenza no, non posso dire che sia un piacere conoscerla.

Sir Arthur: Suvvia, non è il caso di essere scortesi [incomprensibile] Lei non è una medium, non in senso consueto, almeno. Vede il tempo in maniera diversa da noi e, tenendo in mano un oggetto, talvolta ha visioni di coloro a cui è appartenuto…

Signora Watson: E dunque? Cosa c’entra questo con me?

Sir Arthur: L’ho portata qui, diciamo, per essere in territorio neutrale. Sapevo che non mi avresti mai consentito di accedere agli averi di John, ma qui [rumore di cassetti che copre delle parole] ricordavo che John aveva lasciato a questo ospedale gli strumenti chirurgici che aveva usato durante la guerra e [lungo silenzio]. Ho dato il suo bisturi alla signorina Theot.

Signora Watson: Tu cosa?

Sir Arthur: Ti prego, ascoltami…

Signora Watson: No, sir Arthur, ascoltami tu! Perché non è di lei che mi stupisco, ma di te! Sai bene quante donne come lei siano venute a bussare alla mia porta, da quando John è scomparso e sulla sua storia si sono gettati i giornali; sai bene quanto queste visite non mi abbiano avvicinato d’un passo a riavere mio marito, vivo o morto, e quanto siano state utili solo ad incancrenire il mio dolore; e sai bene, pure!, che ti avevo espressamente vietato di mescolare i tuoi interessi senili, perché di questo si tratta!, con noi, di coinvolgere me e soprattutto John in questa tua insana passione per quell’assurdità americana che si chiama come?, spiritismo? (suoni incomprensibili di sir Arthur) Lasciami finire e non provare a fare ecumenismo con me! E io speravo che tu l’avresti fatto, che avresti lasciato in pace se non me, quanto meno John, a cui ti legava, o credevo ti legasse, un certo affetto ed una certa stima. E invece cosa fai? (rumore di passi, qualcosa che cade) Proprio quando Scotland Yard viene a dirmi che hanno deciso di sospendere le ricerche, di dichiarare John legalmente morto, di mettere letteralmente una pietra tombale sulla mia speranza di rivederlo, mi fai venire qui ad incontrare l’ennesima ciarlatana che sostiene di aver parlato con il cadavere del mio consorte, di essere stata da lui guidata ad un certo argine del Tamigi, di aver effettuato uno scavo clandestino e trovato proprio in quel punto il suo corpo, e che cerca di vendermi il cranio di un ladruncolo morto a Wandsworth spacciandomelo per quello del dottor John Henry Watson? Ringrazia il cielo, sir Arthur, se non ti schiaffeggio!

Signorina Theot: Signora Watson, se mi è concesso dire una parola (incomprensibile) con l’intenzione di venderle niente. Tuttavia, quando ho tenuto in mano il bisturi di Suo marito…

Signora Watson: Non voglio ascoltarla! Come hai potuto, Arthur, come hai potuto! Spero bene che tu capisca che qualunque rapporto esistesse ancora tra noi si interrompe in questo momento!

Sir Arthur: Ma cerca di capire! Mi ha detto di averlo visto, e io le credo. Me lo ha descritto…

Signora Watson: Ah, come se fosse difficile! Mio marito era continuamente sui giornali e chiunque…

Signorina Theot: Signora Watson, scusi se La interrompo, ma sir Arthur ha agito credendo di fare del bene, portandomi qui ed offrendomi il suo bisturi, ed io so per certo che quello che ho visto era Suo marito. Lei ha ragione, io potrei essere uno di quei truffatori che certo hanno reso la Sua vita, da quando il dottor Watson è scomparso, un inferno; ma non ho intenzione di andarmene da qui con in tasca neppure mezza sovrana che provenga da Lei, se è questo che La preoccupa. Non ricordo di aver mai letto descrizioni di Suo marito da nessun quotidiano, ad ogni modo; e, seppure lo avessi fatto, non credo i giornali abbiano mai riportato che la sua famosa ferita di guerra non l’aveva vicino alla testa dell’omero, sul davanti della spalla, bensì dietro, poco di lato ed in alto rispetto alla scapola…

(Un rumore sordo. La signora Watson e la signorina Theot sono concordi nell’affermare che, a quel punto, sir Arthur svenne)

(continua…)


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4 thoughts on “Non posso dire che sia un piacere conoscerla”

  1. Che fascino i racconti a puntate! Quante volte, leggendo Wilkie Collins, mi sono immaginata come una delle migliaia di persone che aspettavano trepidanti di sfogliare il quotidiano o la rivista per poter leggere il seguito di quelle storie…
    Non vedo l’ora che arrivi domani!

    1. Che autore ingiustamente dimenticato, Wilkie Collins. L’ho conosciuto leggendo un romanzo di Frutteto e Lucentini, e quindi ho comprato La pietra di luna… l’ho letto quasi tutto durante dei viaggi in autobus, e devo dire che forse è stato giusto così. Mi ha ammaliato!

  2. Fazi editore ha pregevolmente e coraggiosamente ristampato le sue opere. Io lavoro in un centro culturale dotato di biblioteca, quindi promuovo la gratuità della lettura, ma mi sento di sostenere l’acquisto (quando possibile) di opere che difficilmente potrebbero altrimenti resistere. Certo, Collins è di impatto impegnativo, perché si tratta sempre di centinaia di pagine, ma è davvero ammaliante! Una volta entrati nella storia non si vorrebbe più uscirne. D’altra parte, erano racconti che dovevano durare tanto e tenere il pubblico in fremente attesa, far vendere le riviste, insomma, e quando gli editori hanno chiesto ai rispettivi autori di sistemare la versione per la stampa del libro, questi ultimi hanno provveduto ai necessari adattamenti. La costante suspence è rimasta, anzi, trovo che Collins, in particolare, riesca a unire il periodico piacere dello ‘svelamento’ di una vicenda e il mantenimento del mistero sulla narrazione generale.

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