La strana morte di Bon Scott

67 Overhill Road – Bus: 363

“He could make a pub feel like an arena and an arena feel like a pub.”

(Geoff Barton, Classic Rock Magazine)

E’ una fredda domenica di novembre. Si sta avvicinando l’ora del tramonto e l’autobus 363 su cui sono salito mezz’ora fa in Lambeth Road, dopo aver attraversato il sobborgo di Peckham, arriva a East Dulwich e mi lascia alla fermata L di Langton Rise. Costeggio per un po’ il vecchio cimitero di Camberwell e poi imbocco uno stretto passaggio che sbuca in Overhill Road.

La meta del mio pellegrinaggio laico è il punto in cui la strada raggiunge la cima della collina: qui sorge un anonimo blocco di appartamenti, al numero civico 67.

Nel piccolo spiazzo d’erba recintato davanti alla casa c’è un tizio con una felpa blu, piuttosto infreddolito, che sta fumando velocemente una sigaretta. Capisce immediatamente perché io sia lì e mi indica una Volkswagen Polo grigia parcheggiata davanti all’ingresso.

“L’hanno trovato lì, poveraccio…”, mi dice facendo uscire una nuvola di fumo dalle narici, “Dovrebbe esserci qualche fiore e qualche biglietto là per terra, non mancano mai”.

In effetti accanto al marciapiede c’è qualche mazzo di fiori appassiti, sotto un cartello malmesso che recita “NO PARKING AT ANY TIME”.

Leggendo la scritta non posso evitare di cogliere una certa assurdità in un cartello del genere. Un divieto di sosta proprio nel punto in cui, sul sedile del passeggero di una Renault 5, il 19 febbraio del 1980 lasciò questo mondo una leggenda del rock.

La storia che vi racconto oggi inizia nel tardo pomeriggio del giorno precedente, lunedì 18 febbraio di 38 anni fa. Bon Scott è a Londra, nell’appartamento che ha preso in affitto dalle parti di Victoria Station. Qualche giorno prima ha passato un paio d’ore in sala prove con i fratelli Young, Angus e Malcolm. I due sono l’anima degli AC/DC, il potente motore della band australiana che l’anno precedente con l’album “Highway to Hell” ha toccato l’apice del successo e ha sfondato anche negli Stati Uniti. Bon Scott è il cantante e l’autore dei testi: carismatico, selvaggio, sguaiato.

Un nuovo disco è già in cantiere e i due fratelli Young fanno ascoltare a Bon un paio di pezzi. Lui li accompagna alla batteria e con tutta probabilità pensa già ai testi che scriverà in un secondo momento.

Funziona così, negli AC/DC: Angus inventa un geniale riff di chitarra, Malcolm ci mette i suoi potenti accordi e poi arriva la voce grezza e insolente di Ronald Belford “Bon” Scott. E’ una formula perfetta.

Nato in Scozia nel 1946 e trapiantato in Australia all’età di 6 anni, prima di diventare il frontman degli AC/DC alla fine del 1974, nei dieci anni precedenti Bon Scott fa innumerevoli mestieri e intanto canta negli Spektors, nei Valentines, poi per 3 anni in un gruppo progressive di Adelaide, i Fraternity. Il 3 Maggio 1974, durante le prove con la sua nuova band, i Mount Lofty Rangers, litiga furiosamente con un membro del gruppo, scaglia una bottiglia di Jack Daniel’s sul pavimento e, ubriaco, salta sulla sua motocicletta. Ha un brutto incidente, tre giorni in coma e poi altri 18 ricoverato in ospedale.

Non torna a cantare e cerca lavoretti occasionali, per sbarcare il lunario. Un giorno fa da autista per una band di Sydney, gli AC/DC. Che proprio in quel periodo sta dando il benservito al cantante Dave Evans.

Angus e Malcolm Young offrono un provino al loro autista: la voce di Bon Scott li conquista all’istante, è lui il nuovo frontman.

Torniamo a Londra, al 18 febbraio del 1980. Nel suo appartamento di Ashley Court, Bon Scott si sta annoiando e chiama la sua ex, Silver Smith, per invitarla fuori ma lei rifiuta. La ragazza riceve poco dopo una telefonata di un amico, Alistair Kinnear, che la vorrebbe portare a Camden per una festa. Anche a lui dice di no ma aggiunge che ha un amico che si sta annoiando a morte…

Poche ore dopo Alistair Kinnear passa a prendere Bon Scott con la sua Renault 5 e i due si dirigono verso il Music Machine a Camden (che oggi esiste ancora e si chiama KOKO).

Bon ha da sempre un grosso problema con la bottiglia. Beve tanto, in qualunque situazione. Si dice che dopo un concerto in Texas, in mancanza d’altro, si è scolato un intero flacone di dopobarba.

Il fatto è che ha una notevole capacità di reggere l’alcool e, anche quando è ubriaco fradicio, può salire sul palco, prendere Angus sulle spalle e continuare a cantare come se niente fosse.

“Alcool, donnacce, sudore in scena e pessimo cibo nel backstage non indeboliscono: è tutta salute.”

La serata al Music Machine non fa eccezione: Bon e Alistair bevono senza pause e alla fine della festa sono paurosamente ubriachi.

Alistair si offre di riaccompagnare a casa Bon ma quando arrivano di fronte a Ashley Court non è in grado di svegliarlo. Chiama Silver Smith che lo tranquillizza: Bon ha soltanto bisogno di dormire. Quindi Alistair risale in macchina e decide di proseguire verso il suo appartamento di East Dulwich.

Quando arrivano a destinazione Bon è ancora incosciente e Alistair troppo ubriaco per sollevarlo di peso e portarlo in casa. Inclina quindi il sedile del passeggero, copre l’amico con una coperta di lana e lascia un biglietto con il suo indirizzo e il numero di telefono. Poi sale in casa e va a dormire.

Si sveglia soltanto nel tardo pomeriggio. Alle 11 in realtà il suo sonno viene interrotto dalla visita di un amico, al quale chiede di controllare se Bon è ancora all’interno dell’auto. L’amico scende in strada, torna da Alistair e gli dice che nell’auto non c’è nessuno. Tranquillizzato dal fatto che Bon si è ripreso da solo e se n’è andato, si rimette a dormire.

Alle 7 e mezza di sera, quando scende in strada per andare a trovare un’amica, fa un’orribile scoperta: Bon è ancora sul sedile della Renault 5, raggomitolato intorno alla leva del cambio, immobile. E sembra non respirare più.

Kinnear mette in moto e si precipita in ospedale ma non c’è più niente da fare: Bon Scott è già morto. Il verdetto ufficiale è “intossicazione acuta da alcool”.

Fin qui la cronaca di una tragedia, forse annunciata, visti i presupposti e i trascorsi pericolosi del protagonista.

Ma c’è qualcosa che non torna. Una telefonata che risale alle 10,30 del mattino del giorno stesso. In teoria a quell’ora la situazione è questa: Bon Scott è da qualche ora sul sedile della Renault 5, probabilmente già morto; Alistair Kinnear sta dormendo nell’appartamento di Overhill Road con in corpo i postumi di una sbornia epocale; l’amico che gli farà visita alle 11 non è ancora comparso.

Alle 10,30 squilla il telefono in un appartamento a Fulham. Risponde assonnato Paul Chapman, il chitarrista degli UFO, soprannominato Tonka (“indistruttibile” nella lingua Sioux) per l’incredibile capacità di reggere alcool e droghe. Dall’altro capo del filo c’è Joe Bloe, australiano, di professione pusher. Ha passato una notte a base di alcool e cocaina a casa di Paul ma alle 7 è tornato nell’appartamento in zona Victoria Station che da qualche tempo divide con Bon Scott. E’ proprio di lui che vuole parlare a Chapman. “Paul, ho una brutta notizia: Bon è morto. Bisogna avvertire Angus o Malcolm…” gli dice scoppiando in lacrime. Paul non ha i numeri dei due fratelli Young e quindi riaggancia e chiama Pete Way, il bassista degli UFO, che glieli fornisce.

Ma com’è possibile che alle 10,30 del mattino qualcuno sappia che Bon Scott è morto quando la scoperta del suo cadavere avviene ore più tardi, alle sette e mezza di sera?

E chi è Alistair Kinnear? Perché due giorni dopo la morte di Bon Scott scompare nel nulla e l’appartamento di Overhill Road viene saccheggiato da sconosciuti?

Alistair Kinnear ricompare nel 2005, dopo vent’anni passati in Spagna. Rilascia al Guardian un’intervista in cui racconta la sua ricostruzione dei fatti. Poi l’anno dopo salpa da Marsiglia in barca a vela in compagnia di altri due uomini, diretto verso la Spagna. Non arriverà mai. La barca scompare nel nulla e oggi Alistair Kinnear è ufficialmente considerato morto. C’è chi dubita che sia veramente esistito. Ma il suo numero compare sull’agendina di Bon Scott…

E l’amico che alle 11 del mattino non vede nessuno all’interno della Renault 5 parcheggiata?

Chissà come sono andate le cose quella notte… Probabilmente non lo sapremo mai con certezza.

Mentre mi lascio alle spalle Overhill Road metto gli auricolari e decido di ascoltare un pezzo che amo. Si intitola “Ride On”, fa parte del terzo album degli AC/DC ed è molto diverso dal solito suono del gruppo: è un blues lento, triste, quasi spietato. Parla di errori, relazioni naufragate e di dispiaceri affogati nell’alcool.

E’ anche l’ultima registrazione dell’irripetibile voce di Bon Scott. Sei giorni prima di morire, infatti, incide questo brano negli Skorpio Studios di Euston Road, accompagnato dai Trust.

Ride on
Ride on, got myself a one-way ticket
Ride on
Ride on, going the wrong way
Ride on, gonna change my evil ways
Ride on, one of these days
One of these days

 

Ti è piaciuto questo articolo e non vuoi perdere i prossimi? Iscriviti alla newsletter di The LondoNerD: riceverai un avviso via mail ogni volta che un nuovo post sarà pubblicato.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

My Agile Privacy

Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. 

Puoi accettare, rifiutare o personalizzare i cookie premendo i pulsanti desiderati. 

Chiudendo questa informativa continuerai senza accettare.