2 Lowndes Court – Tube: Oxford Circus
Questa storia inizia e finisce a San Francisco, passando per Londra.
Nel 1963 Gino Del Prete e Pete Mattioli erano i due proprietari del Condor, un anonimo bar nel quartiere di North Beach, la Little Italy della città californiana. Gli affari andavano discretamente, senza alti né bassi. Ma tutto cambiò il giorno in cui assunsero come cameriera un’esuberante ragazza di 26 anni, di nome Carol Doda.
Il 19 Giugno dell’anno seguente Carol salì sul palco del locale indossando un modello di monokini disegnato da Rudi Gernreich e ballò di fronte al pubblico a seno nudo. Booom!
Da quel giorno (celebrato oggi da una targa sulla facciata del locale) la moda del topless bar si sparse a poco a poco in tutta San Francisco, fino a che la polizia non arrestò Carol Doda per atti osceni. Era il 22 Aprile del 1965. La donna divenne un simbolo di libertà sessuale e centinaia di manifestanti chiesero la sua immediata liberazione, che fu ottenuta in breve tempo.
Questa improvvisa pubblicità fece nascere come funghi, in tutta San Francisco, decine di locali, bar, ristoranti, lustrascarpe, bancarelle di gelati… tutti accomunati dal fatto di essere gestiti da ragazze a seno nudo.
Il Condor Club, dove tutto aveva avuto inizio, prosperò grazie a Carol Doda. Il suo attesissimo numero iniziava con un’entrata in scena spettacolare: la ragazza scendeva dall’alto, in piedi su un pianoforte bianco a coda che veniva calato lentamente, grazie a robusti cavi d’acciaio. Iniziava così il suo show, fatto di canzoni e di balletti sensuali. Gli avventori impazzivano per lei.
Dall’altra parte dell’oceano, in quel periodo, Londra stava diventando l’epicentro delle nuove tendenze, la culla della creatività e la mecca dei giovani di tutto il mondo: stava insomma per trasformarsi nella Swinging London.
Una novità come quella del topless bar, ovviamente, non poteva passare inosservata e a sfruttarla, come nel caso del Condor, fu un imprenditore di origini italiane.
Paul Inga, siciliano di 34 anni, aprì il primo topless restaurant britannico in una buia stradina a due passi da Carnaby Street: Lowndes Court.
Investì in questa avventura ben 75.000 sterline e battezzò il locale “La Carretta”.
Aprì i battenti lunedì 19 Dicembre del 1966, con un menu a base di caviale e fagiano servito da quattro cameriere a seno nudo.
Indossavano soltanto una toga color cremisi, voluta da Inga per dare al locale una vaga parvenza di Antica Roma. Le tovaglie ai tavoli avevano lo stesso colore.
I quotidiani del giorno seguente all’inaugurazione parlarono di ben 300 invitati, tutti stipati nel seminterrato dell’edificio, l’unico spazio adibito a club e autorizzato ad ingaggiare le cameriere in topless.
“Sono sicuro che tutto questo avrà successo a Londra, come è accaduto a San Francisco, e che ci vorrà soltanto un po’ di tempo perché la gente si abitui.” disse Paul Inga al giornalista che lo intervistava “Già cento persone hanno chiesto l’iscrizione al club.”
Un cliente raccontava così la sua esperienza: “Sono stato servito dalla graziosa Gina Baker. Sono d’accordo con mister Inga: all’inizio è stato un po’ sconcertante vedere la cameriera in topless ma poi mi ci sono abituato.”
“Non ci vedo niente di sbagliato, non sono preoccupata” disse Gina, 21 anni, che prima di questa esperienza faceva la modella.
Christina Saidali, anche lei ventunenne, non era del tutto d’accordo: “Mia madre è furiosa. Ha minacciato di buttarmi fuori di casa!”.
Paul Inga si era preoccupato di redigere un regolamento: alle ragazze non era concesso uscire con gli avventori e neppure bere un drink con loro all’interno del club.
Incuriosito dalla storia de “La Carretta”, ho voluto fare un salto in Lowndes Court, per vedere se fossero rimaste tracce del ristorante.
Non è stato semplice individuare dove si trovasse esattamente (il numero civico non compare nei quotidiani dell’epoca), nonostante Lowndes Court sia una stradina lunga qualche decina di metri, stretta tra Carnaby Street e Newburgh Street.
Mi hanno aiutato alcune fotografie datate 1967, che mostrano l’insegna del locale che sporge all’angolo con Carnaby Street, proprio in corrispondenza di Lady Jane’s Birdcage, una boutique aperta quell’anno come spin-off della più celebre (e attigua) Lady Jane.
In questa immagine vedete il giorno dell’inaugurazione, in cui la modella Sylvia Bryan fu fatta salire su una gabbia e rimase sospesa per ore, bloccando il traffico delle automobili e creando una folla di passanti curiosi.
Arrivò infine la polizia, che minacciò di denunciare la ragazza. Chi l’aveva aiutata a salire, però, era irreperibile e la povera Sylvia fu riportata a terra da un passante volenteroso che si procurò una scala.
In questa seconda fotografia, sullo sfondo, spunta un’insegna con la scritta “Topless Dining Club” e subito sotto c’è un tenda bianca a cappottina con il nome “La Carretta”.
Al numero 3 di Lowndes Court in quegli anni c’era il Craftsmen Potters’ Shop (lo vedete a destra, accanto al ragazzo con la maglietta rossa).
Oggi al suo posto c’è un caffé, il “Department of Coffee and Social Affairs”.
“La Carretta” era dunque alla porta accanto, al numero 2. Oggi qui troviamo un raffinato locale, l’Antidote.
Wine bar al piano terra e wine shop al primo piano. Il seminterrato non è accessibile al pubblico ma è ben visibile la scala per raggiungerlo. La stessa scala che percorrevano Gina, Christina e le altre ragazze assunte da mister Inga per 25 sterline a settimana.
Il successo de “La Carretta” durò poco. Nella notte dell’11 Ottobre del 1967 un incendio devastò il piano terra e il seminterrato e fu necessario l’intervento di venti pompieri per domarlo. L’origine del danno fu ritenuta dolosa e mister Inga la collegò ad alcune lettere ricevute nelle settimane precedenti. Preferì non rivelarne il contenuto ai cronisti accorsi sul posto con i loro taccuini.
“La Carretta” chiuse i battenti per sempre.
Come dicevo all’inizio del post, questa storia termina a San Francisco. Il Condor Club è ancora al suo posto e prospera sfruttando i fasti del passato e il nome di Carol Doda, scomparsa nel 2015.
Ma il Condor fu il teatro di una tragedia ben più grave dell’incendio che sancì la chiusura del club di Soho.
Nel 1983 il buttafuori era un tale James Ferrozzo, detto “Jimmy the Beard”. Una sera, dopo la chiusura del locale, rimase solo con la sua ragazza Theresa, che lavorava al Condor come ballerina.
I due cominciarono ad amoreggiare e, presi dalla passione, si sdraiarono per fare sesso sul pianoforte bianco di Carol Doda. Senza accorgersene, uno dei due azionò il pulsante che serviva a far risalire lo strumento verso l’alto e così rimasero intrappolati tra il pianoforte e il soffitto.
Theresa, più snella del compagno, riuscì a divincolarsi con fatica ma rimase sospesa in alto, sdraiata e incapace di scendere. Un po’ come era accaduto anni prima a Sylvia Bryan, la ragazza bloccata nella gabbia all’angolo tra Carnaby Street e Lowndes Court.
Per “Jimmy the Beard” non ci fu niente da fare. Morì soffocato nel giro di pochi minuti sotto gli occhi della povera Theresa.
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very interesting!
also, Christina Saidali went on to model in several men’s magazines as Christine Jensen, no doubt she was discovered at la Carretta.
Thank you, Ed. I didn’t know that.