Il palazzo che andò in mille pezzi

1 Bridge Street, London – Tube: Westminster


La storia di oggi inizia da un vecchio puzzle. Non ricordo quanti anni avessi quando me lo regalarono, ma ricordo benissimo che era fatto di tantissime piccole tessere, almeno un migliaio, e soprattutto ho davanti agli occhi la scena raffigurata, molto simile a quella di questa cartolina.

Il ponte di Westminster, con le acque marroncine del Tamigi che scorrono sotto le sue arcate eleganti, fotografato dal punto in cui oggi si trova il London Eye. Ricordo che nell’immagine del puzzle c’erano alcune imbarcazioni impegnate nelle operazioni di rifornimento del carburante, attraccate ad una chiatta/distributore in mezzo al fiume.

Sullo sfondo, maestoso, il Parlamento e le due bianche torri di Westminster Abbey. Per me che avrò avuto sì e no dieci anni, la sagoma del Big Ben era già inconfondibile e quasi familiare, anche se a Londra non ero mai stato.

Fantasticavo di abitare proprio dirimpetto alla torre dell’orologio, in un edificio pittoresco che avevo visto così spesso nei libri, nelle cartoline e nei puzzle.

La mia nobile dimora era un palazzo alto cinque piani, proprio all’angolo opposto rispetto al Big Ben, e seguiva la curva che unisce il Victoria Embankment con Bridge Street, la strada che conduce al ponte di Westminster. Il palazzo aveva il tetto molto spiovente, numerosi abbaini e altrettanti camini di colore chiaro. Le pareti dell’edificio, invece, erano scure, davano l’idea di essere impregnate di decenni di smog.

Ricordo che completai il puzzle e che lo rimisi nella scatola. Chissà che fine ha fatto da allora…

Anni dopo, nel Luglio del ’93, giunsi a Londra per la prima volta. Quindicenne e un po’ sfigato, avevo con me una macchina fotografica da quattro soldi e qualche rullino di pellicola da 36 pose.

La prima fotografia in assoluto che scattai a Londra è lo scatto più banale e prevedibile che potessi fare. Ero sul ponte di Westminster e inquadrai (con una pessima composizione) il Parlamento in tutta la sua estensione, dalla Victoria Tower fino al Big Ben, con un sacco di inutile cielo bianco.

A destra, purtroppo, rimase fuori campo il palazzo all’angolo, quello in cui avrei voluto vivere. Chissà, forse a 15 anni avevo già smesso di fantasticare, avevo capito che le possibilità di abitarci realmente erano molto remote.

Comunque sia, quella fu l’ultima volta in cui mi trovai al suo cospetto. Quando tornai a Londra due anni più tardi, il palazzo dei miei sogni era stato raso al suolo.

Nel 1994, infatti, erano già partiti i lavori per la costruzione dell’edificio che lo sostituì e che oggi sta accanto al Big Ben: Portcullis House.

Si tratta di un palazzo adibito interamente ad uffici ed è un’estensione al Palazzo del Parlamento. Aprì nel 2001, dopo anni di lavori effettuati contemporaneamente a quelli per il rifacimento della sottostante stazione della metropolitana di Westminster, nella quale fino ad allora passavano soltanto la Circle e la District Line. Insieme alla nuova e avveniristica stazione della Jubilee Line, furono gettate le fondamenta di Portcullis House, un edificio che fin dall’inizio fu al centro di polemiche asprissime.

Il costo preventivato nel 1992 ammontava a 165 milioni di sterline e lievitò fino a raggiungere i 235 milioni. Le sole tapparelle elettriche ne costarono un paio. Nel cortile al centro del fabbricato, che ha un luminoso e audace tetto fatto di vetro e acciaio, ci sono alcuni alberi di fico presi in affitto, che oggi costano ben 20.000 sterline all’anno soltanto per la manutenzione ordinaria. Il tetto è spesso fonte di problemi, perché lascia filtrare l’acqua piovana attraverso crepe e fessure.

Portcullis House è ovviamente off -limits per i comuni mortali, sorvegliata com’è giorno e notte da decine e decine di poliziotti, ma il mio interesse per questo edificio è prossimo allo zero.

Sono molto più curioso di ricostruire la storia del palazzo che avrei voluto possedere quando ero piccolo e avevo molto tempo a disposizione per cimentarmi nei puzzle. Ho ricercato, ho studiato, ho consultato libri e vecchi giornali e sono pronto a raccontarvi la storia del civico 1 di Bridge Street.

Prima, però, devo fare una breve premessa storica e parlarvi del Reform Act del 1867, la legge che estese il diritto di voto ad una fetta più ampia della popolazione maschile. Prima della sua entrata in vigore, infatti, soltanto un milione dei sette milioni di uomini adulti in Inghilterra e Galles poteva votare. La legge raddoppiò immediatamente questo numero.

Il Partito Conservatore, fino ad allora, aveva avuto un unico luogo in cui riunirsi per coordinare le proprie attività e decidere le strategie politiche: il Carlton Club di St. James, istituzione fortemente elitaria ed esclusiva, in cui si poteva entrare soltanto per nomina o elezione. Era dunque un club decisamente non adatto ad accogliere gli esponenti del nuovo ceto sociale in procinto di raggiungere Londra e le aule del Parlamento: uomini d’affari, liberi professionisti e semplici membri del partito.

Serviva un club più “popolare”, se così si può dire. Nel 1870 fu quindi fondato il St. Stephen’s Club, con sede al 53 di Parliament Street.

Pochi anni dopo fu commissionata all’architetto John Whichcord la costruzione di un nuovo spazio, proprio a due passi dal Parlamento, all’angolo tra Bridge Street e il Victoria Embankment.

Lascio la descrizione dell’edificio all’Illustrated London News del 27 Febbraio 1875.

La nuova sede del St. Stephen’s Club a Westminster è stata inaugurata per ospitare i suoi soci. Si trova all’estremità sud-ovest del Victoria Embankment, di fronte alla Torre dell’Orologio del Palazzo di Westminster e con vista sull’ingresso principale di Westminster Hall. È adiacente alla stazione ferroviaria di Westminster Bridge, alla quale, così come alle Houses of Parliament, ha accesso tramite un passaggio sotto la carreggiata, protetto dal vento e dalla pioggia. Occupa un blocco di terreno dalla forma irregolare, ma l’architetto John Whichcord ha superato le difficoltà del sito. L’edificio, che si innalza dal seminterrato fino a 100 piedi di altezza, è in stile classico o palladiano.

Le stanze sono ampie e luminose. La casa è ben riscaldata da un nuovo impianto, le cui bobine sono abilmente nascoste. È dotata di campanelli elettrici di ultima generazione. Le porte di ogni piano fino all’ultimo sono in rovere massiccio, con ampi pannelli ornamentali. I soffitti sono divisi in scomparti o pannelli quadrati, colorati di un azzurro chiaro che li fa sembrare più alti di quanto non siano in realtà. Al piano superiore della casa si trova il reparto culinario, una disposizione che permette di far uscire l’odore della cucina senza che penetri nelle sale del club. Il piano attico contiene, oltre agli alloggi per la servitù, una grande cucina, supervisionata da uno chef de cuisine francese, con altri due cuochi francesi alle sue dipendenze. La cucina è dotata di eccellenti attrezzature, e adiacente ad essa si trovano una sala di cottura, una sala pasticceria e le dispense per la carne e il pesce. I campanelli elettrici la mettono in comunicazione con le sale da pranzo sottostanti. Al piano inferiore si trovano due sale da biliardo, una riservata ai soci e l’altra agli ospiti; due sale da pranzo, con una disposizione simile, e una sala per le colazioni. Al primo piano si trovano una sala fumatori, una sala da gioco e una sala da pranzo riservata ai soci. Al piano terra, oltre a un bell’ingresso, c’è a sinistra una piccola sala di ricevimento per i visitatori, che conduce alla sala mattutina, dotata di molti angoli e nicchie; è ben fornita di materiale per la scrittura, giornali e periodici. A destra del salone si trova un’ampia sala di lettura e scrittura che si estende dal fronte al retro della casa, destinata alla biblioteca del club. Al piano superiore si accede tramite una scala a chiocciola, la cui pianta non è dissimile da quella della grande scala sul retro di Devonshire House. Le finestre di questa scala si affacciano sul tetto della stazione ferroviaria sottostante e sono state decorate con vetri dipinti che raffigurano la “Rosa Bianca”, i segni dello Zodiaco e altri ornamenti. La scala è disposta in modo da proseguire nel seminterrato, dove conduce alla segreteria, ai bagni e ai gabinetti. Nel seminterrato inferiore si trovano le cantine per il vino e la birra, le camere blindate per gli altri magazzini e un posto per il funzionamento dell’ascensore idraulico, grazie al quale tutte le provviste vengono portate in cima alla casa senza passare per le scale. Le tende, le sedie e i divani sono drappeggiati in blu scuro e marrone. Sono stati presi accordi per installare una comunicazione elettrica tra la casa e l’atrio della Camera dei Comuni durante la sessione parlamentare.

Le piante dei tre piani dell’edificio sembrano altrettanti tabelloni di Cluedo.

L’11 Aprile dell’anno precedente, quando i lavori erano ancora in corso, la rivista tecnica The Builder descriveva così l’edificio ormai a buon punto.

La scala principale inizia al piano interrato e prosegue fino al secondo piano. È interamente in quercia levigata con corde, montanti e balaustre intagliate, su cui sta lavorando il signor G. A. Rogers; è illuminata da finestre ai vari livelli, divise da montanti e traverse in quercia intagliata, e vetrate con vetri colorati forniti dai signori Heaton, Butler e Bayne. In alto si trova una lanterna, con soffitto a cassettoni arricchito da decorazioni in gesso. L’ingresso è pavimentato con cementine fornite da Minton Taylor. La sala interna e le sale del primo e del secondo piano sono rivestite con pavimenti a cassettoni lucidi e ampi bordi in parquet. Tutti i corridoi e le sale sono costruiti con archi in mattoni, mentre i pavimenti sono tutti in legno. La scala di servizio è in granito e le pareti sono rivestite di piastrelle smaltate fino a un’altezza di tre piedi. I locali di servizio sono presenti a ogni piano, mentre i gabinetti sono ricavati nei mezzanini. Le finestre del piano terra e del primo piano sono dotate di persiane girevoli in ferro curvilinee di Burnett. Le cucine, che sono state allestite da C. Jeakes & Co. di Great Russell Street, Bloomsbury, non saranno seconde a nessuno in termini di comodità e dimensioni. La stessa ditta ha fornito anche gli ascensori, uno dei quali funziona con energia idraulica. Anche gli impianti a gas, l’acqua calda e fredda, i bagni e i gabinetti sono stati eseguiti da loro. I camini sono stati realizzati dal signor Boucneau e le stufe dal signor Lowman Taylor. Il costo complessivo del club ammonterà a poco più di 100.000 sterline. I lavori si stanno rapidamente avvicinando al completamento e si prevede che il club sarà inaugurato all’inizio del prossimo mese di giugno. L’architetto è John Whichcord, F.S.A., mentre gli appaltatori sono i signori Peto Brothers.

Una caratteristica che rendeva speciale il St. Stephen’s Club era il passaggio sotterraneo che lo collegava direttamente al Parlamento.

Nella sala da pranzo era installata una division bell, una campana che avvisava dell’imminente inizio di una votazione. Nella cosiddetta Westminster Bubble ne furono installate decine: nei pub, nei ristoranti e nei negozi. Quando la division bell suonava, i parlamentari avevano otto minuti di tempo per raggiungere l’aula e fare il proprio dovere.

La prima che vidi fu quella del Red Lion di Whitehall, proprio di fronte a Downing Street. Oggi, purtroppo, quasi tutte le poche rimaste non funzionano più: i parlamentari vengono avvertiti di un voto imminente da un banale messaggio sul telefono.

La division bell nella sala da pranzo del St. Stephen’s Club permetteva ai deputati di raggiungere l’aula nel tempo massimo di sei minuti, con un andatura tranquilla.

Una storia racconta che, durante la votazione del Mutiny Bill del 1878, alcuni deputati irlandesi avevano annunciato l’intenzione di ritardare l’approvazione della legge e di sostare tutta la notte nella Camera dei Comuni. Dato che si prospettava una lunga attesa, alle otto di sera i membri del Partito Conservatore si recarono al St. Stephen’s Club, per concedersi una buona cena.

Sapevano che, in caso di votazione, la campana li avrebbe avvisati e avrebbero avuto tutto il tempo di rientrare in aula. La division bell non suonò e i parlamentari tornarono tranquillamente ai loro posti quando erano ormai le dieci e mezza.

Purtroppo per loro la votazione era avvenuta due ore prima, senza che fossero presenti. Qualcuno, non si scoprì mai chi, aveva tagliato il cavo collegato alla campana, che correva lungo il sottopassaggio tra il Parlamento e il club!

Nel corso degli anni, nelle stanze del circolo, passarono molti nomi celebri, non necessariamente politici: Benjamin Disraeli, che contribuì alla sua fondazione, il pittore statunitense James Whistler e Oscar Wilde, che nel 1877 stava ancora studiando a Oxford e rimase senza un quattrino dopo aver pagato l’iscrizione al club.

Nel 1897 l’edificio fu addobbato a festa, per celebrare il Giubileo di diamante della Regina Vittoria.

Un’altra data importante è il Capodanno del 1923. In quella occasione, infatti, sul tetto del palazzo fu installato un microfono che registrò i dodici rintocchi del Big Ben e attraverso la radio li trasmise in tutto il Paese.

Accanto al club, in Bridge Street, c’era l’ingresso della stazione della metropolitana di Westminster.

Nel secondo dopoguerra il circolo cominciò ad accusare i primi problemi finanziari: i costi di gestione erano alti e non erano compensati dalle quote versate dai soci e dai contributi del Partito.

Nel 1962 il palazzo al numero 1 di Bridge Street fu venduto al Governo per la cifra di 395.000 sterline, più di 10 milioni al cambio odierno, e il St. Stephen’s Club traslocò al 34 di Queen Anne’s Gate, un edificio georgiano più piccolo e meno oneroso. Il club oggi non esiste più, chiuso all’inizio del 2013 per mancanza di soci.

La vecchia sede di Bridge Street, “uno squallido edificio vittoriano”, come fu definito, sembrò destinato presto a sparire per lasciare il posto a nuovi e moderni uffici per i membri del Parlamento. Passò un trentennio, prima che questo accadesse, come abbiamo visto.

Nel 1972 si tenne un concorso di idee per un nuovo edificio per ampliare gli spazi a disposizione dei parlamentari.

Robin Spence (nipote del più celebre Sir Basil Spence) e Robin Webster vinsero il concorso con questa proposta.

Al secondo posto Tom Hancock, con un lavoro battezzato “Triad”.

Al terzo posto due progetti a pari merito. Il primo firmato Philip Black e Andre Bisztyga.

L’altro da Paffard Keatinge-Clay.

Dopo aver visto cosa abbiamo rischiato, ho deciso di rivedere completamente il mio severo giudizio su Portcullis House.

Giunto a questo punto delle mie ricerche, avevo deciso che poteva bastare così, sapevo ormai quasi tutto dell’edificio in cui un tempo avrei voluto vivere. Restava però una piccola, grande curiosità: gli interni del St. Stephen’s Club. Avrei tanto voluto vedere alcune immagini dei salotti, della stanza dedicata ai fumatori, delle sale da pranzo. Purtroppo in rete e nei libri che ho consultato non ho trovato nulla.

Ma ho scoperto una cosa interessante: a metà degli anni ’70 la BBC iniziò a trasmettere in diretta le sedute della Camera dei Comuni e della Camera dei Lords e nel 1978 gli studi furono alloggiati proprio nei locali che fino al 1962 avevano ospitato il St. Stephen’s Club e che da allora erano rimasti vuoti. Il palazzo, dopo anni di abbandono, era in condizioni precarie ma costituiva una location perfetta, perché era a due passi dal luogo in cui si svolgeva l’azione.

Il primo piano fu reso agibile e la BBC vi installò un’area editoriale, alcuni piccoli studi radiofonici, un minuscolo studio televisivo, un canale di registrazione, un’area tecnica centrale e un paio di piccoli uffici.

Ho trovato un sito ricco di informazioni, Old BBC Radio Broadcasting Equipment and Memories, che dedica un’intera pagina agli studi di Bridge Street, chiusi nel 1991 dopo 13 anni di attività. Qui potete vedere gli interni del palazzo, completamente trasformati rispetto ai tempi in cui accoglievano Oscar Wilde e i membri del Partito Conservatore.

Il creatore del sito, Roger Beckwith, mi ha gentilmente fornito le versioni ingrandite delle prime quattro fotografie.

La prima fu scattata dal tetto dell’edificio, proprio a due passi dal Big Ben.

La seconda è la vista da una piccola sala di registrazione.

Le macchie nel cielo sono in realtà causate dalle finestre, perennemente sporche. Roger Beckwith, che lavorò per anni in Bridge Street, non ricorda di averle mai viste pulite.

Le ultime due fotografie mostrano la meravigliosa scalinata, tale a quale alla descrizione del numero di The Builder del 1874:

“La scala principale inizia al piano interrato e prosegue fino al secondo piano. È interamente in quercia levigata con corde, montanti e balaustre intagliate, su cui sta lavorando il signor G. A. Rogers; è illuminata da finestre ai vari livelli, divise da montanti e traverse in quercia intagliata, e vetrate con vetri colorati forniti dai signori Heaton, Butler e Bayne.

Il numero 1 di Bridge Street e gli edifici confinanti furono sciaguratamente rasi al suolo nel 1994, con la stessa rapidità con cui io avevo distrutto il mio puzzle dopo averlo completato. Si trattò dell’ultima grande demolizione di edifici vittoriani nel centro di Londra.



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5 thoughts on “Il palazzo che andò in mille pezzi”

  1. Che peccato, sarebbe stata la magione ideale 😊

    Sempre affascinanti le tue ricostruzioni storiche, grazie!

  2. Triste però!

    Le piantine dei vari piani, più che Cluedo, mi ricordano quelle usate in un’edizione de “Gli irregolari di Baker Street” (ci hai mai giocato?), che casualmente si chiama Carlton House.

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