Dal latte al vinile: la gloriosa storia del “Sound Techniques” di Chelsea

46a Old Church Street – Tube: South Kensington

Old Church Street è una strada tranquilla e alto-borghese di Chelsea, che dalla trafficata e vivace Fulham Road scende silenziosamente fino alle rive del Tamigi. Sul lato sinistro, al numero civico 46a, un po’ nascosto rispetto alla carreggiata, c’è uno stretto edificio di mattoni rossi. All’apparenza non è cambiato molto dal 1914, anno in cui comparve questa pubblicità sul “Chelsea News and General Advertiser”.

Sono rimaste le date scolpite sul frontone (1796, l’anno di fondazione e 1908, l’anno in cui fu costruito il palazzo) e soprattutto è rimasto il testone della mucca che vigila dall’alto. E’ scomparso invece il nome che campeggiava tra le finestre del primo e del secondo piano: “Wright’s Dairy”. Era questa infatti la sede di una rinomata latteria londinese.

Una seconda testa di mucca sbuca dall’edificio accanto, che è affacciato sulla strada e che era all’epoca la bottega dove la latteria vendeva al minuto i suoi prodotti. Sulle pareti troviamo ancora i riquadri smaltati e dipinti con immagini di mucche al pascolo e floride giovani che, sgabello sotto il braccio, ritornano dalla mungitura.

Il latte di Wright’s proveniva da Berkshire, Wiltshire e Gloucestershire ed era “raccomandato dai medici per bambini ed invalidi”, tanto che riforniva da decenni il Cheyne Hospital for Sick and Incurable Children, oggi scomparso.

Mi interessa raccontarvi cosa successe all’edificio in mattoni rossi, dopo la chiusura della latteria nel 1959.

Pochi anni dopo, era l’estate del 1965, due giovanotti con pochi soldi in tasca ma con le idee molto chiare, presero in affitto parte del piano terra, il primo ed il secondo piano…

“This was” recorded at Sound Techniques Studio, Chelsea, London – a big sort of greenhouse place. The coffee machine didn’t always work, and you had to watch out for the wires and things on the floor – very pleasant, though, first thing in the morning. There we met Recording Engineer Victor Gamm who turned out to be all right too. He twiddled the magic knobs and bore up quite well under strain.

Questo è stato registrato al Sound Techniques Studio, Chelsea, Londra – una specie di grande serra. La macchina del caffè non funzionava sempre, e dovevi stare attento ai cavi e alle cose sul pavimento – molto piacevole, tuttavia, di prima mattina. Lì abbiamo conosciuto Victor Gamm, l’ingegnere del suono, che si è rivelato anche lui in gamba. Ha girato le manopole magiche e ha sopportato piuttosto bene la pressione.

Queste righe un po’ sgangherate compaiono all’interno della copertina di un vinile del 1968, l’album d’esordio di una band che amo da sempre: i Jethro Tull.

Il titolo del disco è “This Was” e le note di copertina giocano proprio con questo titolo: “THIS WAS recorded at Sound Techniques Studio”…

Tra i mostri sacri che varcarono questa soglia si possono citare Nick Drake, che qui registrò gli unici tre album della sua breve carriera…

John Martyn, che incise il suo capolavoro, “Solid Air” (1973)…

… i Fairport Convention di “Liege & Lief” (1969), il disco che inaugurò l’avventura del folk-rock inglese…

Vashti Bunyan e un album magnifico, “Just Another Diamond Day” (1970) …

… i Pink Floyd degli esordi, che registrarono qui la lisergica “See Emily Play” (1967).

Tanti altri incisero tra queste mura: gli Who, gli Yardbirds, John Cale, Christy Moore, Richard Thompson, … tutti erano innamorati di questo piccolo studio nel cuore di Chelsea.

Il motivo è presto detto: il suono immortalato su nastro tra queste mura era introvabile altrove. E l’atmosfera del Sound Techniques non aveva eguali.

Geoff Frost e John Wood venivano dalla gavetta. All’inizio degli anni ’60 erano due insoddisfatti dipendenti del Levy’s Sound Studio di New Bond Street e un giorno del 1964 si licenziarono con l’idea di mettersi in proprio.

Geoff vantava una grande esperienza nella costruzione e la manutenzione delle consolles, mentre John aveva negli anni sviluppato un orecchio finissimo ed era l’uomo che affiancava i musicisti azionando pulsanti e manopole nella sala di controllo.

Avevano le idee molto chiare, dicevo. Dopo essersi licenziato Geoff prese un aereo per gli Stati Uniti, destinazione Nashville, per capire come nascesse il suono americano, così migliore di quello degli studi inglesi. Visitò in particolare i Bradley’s Studios e qui capì che sarebbe stato sufficiente un armamentario minimo: un semplice ma ben fatto banco di registrazione (l’avrebbe progettato lui stesso), poche attrezzature e soprattutto un soffitto molto alto.

Una volta affittato l’edificio al 46a di Old Church Street, ottennero dal proprietario l’autorizzazione a demolire la parte centrale del pavimento del secondo piano, per ottenere un suono “tipo Bradley’s”: una squadra di operai polacchi completò l’opera in pochi giorni, ricavando nella porzione rimasta del secondo piano la stanza di controllo e un ufficio. Sul pavimento della sala fu poi steso un velo di asfalto (altra dritta proveniente da Nashville, “per inumidire il suono”), rivestito in un secondo momento da uno strato di moquette.

Gli inizi non furono facilissimi ma, dopo qualche tempo, la voce cominciò a spargersi: il Sound Techniques non era uno studio come tutti gli altri. Fino a quel momento, infatti, i musicisti erano abituati a registrare in ambienti spesso simili ad ospedali, con tecnici in camice marrone che interagivano con loro lo stretto necessario, senza dare alcun apporto o suggerimento. Qui, invece, l’atmosfera era ben diversa: nessuna concessione al lusso e nessuna separazione tra musicisti e staff (che spesso andavano insieme a farsi una pinta al pub di fronte). Insomma, poca forma e molta sostanza.

In questa breve intervista i Fairport Convention ricordano il mood che si respirava in quegli anni.

Gli studi chiusero nel 1974, quando terminò il contratto di affitto e i proprietari decisero di vendere l’edificio, che nel frattempo aveva raggiunto il valore di 120.000 sterline: troppe per Geoff e John, che decisero di chiudere per sempre una pagina gloriosa della musica inglese.

Per fortuna rimane la musica, a ricordare la magia del Sound Techniques. Ad esempio questo meraviglioso brano di Nick Drake, tratto da “Bryter Layter“…

Neil Innes e Nick Turner, due registi inglesi, stanno ultimando un documentario, “The Parts You Don’t Hear“, dedicato al Sound Techniques, fatto di interviste ai suoi fondatori e a chi frequentò il 46a di Old Church Street. Il teaser promette molto bene…

 

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2 thoughts on “Dal latte al vinile: la gloriosa storia del “Sound Techniques” di Chelsea”

  1. Mi è piaciuto tantissimo… Non. Mi capacito come possa averlo perso…. Mi piacciono da matti i tuoi articoli.

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