167 Piccadilly – Tube: Green Park
Giusto un anno fa ricevevo l’email da cui nasce il post di oggi. Il mittente era una vecchia conoscenza: Fulvio Ferrari, creatore e anima del Museo Casa Mollino, di cui ho scritto nel 2018.
Fulvio aveva pensato a me dopo aver fatto un acquisto interessante da un rigattiere torinese, a pochi passi da casa. Allegate al messaggio c’erano alcune fotografie di un oggetto decisamente bizzarro.
Prima di saperne di più, però, facciamo un salto indietro nel tempo di un secolo e mezzo.
Sabato 8 Novembre 1873, nel minuscolo tribunale di Oakmere, nel Cheshire, fece il suo ingresso un nobile e ricco gentiluomo di campagna. Si chiamava Henry Reginald Corbet, aveva 41 anni, e apparteneva ad una delle più antiche famiglie inglesi, discendente da Guglielmo il Conquistatore.
Corbet, proprietario di mezza contea, era un appassionato di caccia alla volpe e ricopriva il prestigioso incarico di “Master of the Cheshire Foxhounds”. Era inoltre magistrato in tre diverse contee. Quel giorno, però, Henry Reginald Corbet entrò in aula e prese posto sul banco degli imputati.
I fatti si erano svolti la settimana precedente, la sera di Ognissanti.
Corbet si trovava con alcuni amici a Dale Ford, la sua casa di caccia nei pressi di Marton. Nelle stesse ore un gruppo di nove giovani era riunito poco distante, al Blue Cap di Sandiway, un pub risalente al 1716.
Alle 11 di sera lasciarono il locale e cominciarono a camminare per le strade del villaggio e per i viottoli di campagna, cantando e bussando alle porte delle abitazioni lungo la strada. Rinnovavano una tradizione del Cheshire e di altre contee inglesi che andava in scena in quei giorni di festa e si chiamava souling: consisteva nel vagabondare in mezzo alle case, accompagnando la passeggiata con canti tipici e ricevendo in cambio dolci e piccole somme di denaro.
Alle 11,30 il gruppetto raggiunse Dale Ford, intonando “The gentlemen of England”. Bussarono alla porta, senza ottenere risposta. Cambiarono allora canzone, passando a “Now pray we for our country”. A quel punto la porta si aprì e comparve Corbet con i suoi amici e un fucile da caccia.
I soulers tentarono immediatamente la fuga e uno di loro, nel parapiglia, si ruppe un dente. Corbet si lanciò all’inseguimento, intimando ai giovani di fermarsi, e sparò qualche colpo di fucile.
Un tale di nome John Tomlinson cadde a terra, colpito alle gambe. Alcuni dei suoi compari si fermarono a soccorrerlo, così come Corbet, che lo fece portare in casa. Gli furono estratti diciannove pallini dal polpaccio sinistro e due da quello destro.
Corbet, costernato, lo fece curare dal proprio medico e gli diede 25 sterline, che però non furono sufficienti ad evitargli una denuncia per lesioni gravi e il conseguente processo, che iniziò la settimana successiva nel villaggio di Oakmere.
Il dibattimento durò sette ore e mezza, con diversi compagni di Tomlinson chiamati a testimoniare. Corbet si difese sostenendo di aver scambiato i giovani per alcuni stallieri che aveva licenziato di recente e che lo avevano minacciato. Non conoscendo l’usanza del souling, era convinto che fossero tornati per fargli del male e aveva sparato senza mirare, con il fine di spaventarli.
La giuria lo condannò per aggressione ma lo stesso avvocato dell’accusa non volle infierire: a parer suo la sgradevolezza di dover stare sul banco degli imputati era già una punizione considerevole. I magistrati gli inflissero una multa di 100 sterline e gli fecero sottoscrivere un impegno di buona condotta per i successivi dodici mesi.
I giornali criticarono aspramente la sentenza, sostenendo che “esiste una giustizia per i ricchi e un’altra per i poveri”. Soltanto pochi mesi prima un uomo era stato sbattuto in prigione per sei settimane per aver puntato la pistola contro un fagiano.
Henry Reginald Corbet rigò dritto per il resto dei suoi giorni. Nel 1877 fece ricostruire Adderley Hall, la casa di campagna nei pressi di Market Drayton che era stata distrutta da un incendio. Incaricò il famoso architetto George Devey e, quando la dimora fu completata, traslocò con la moglie e i tre figli maschi.
Qui si dedicò alla caccia e all’equitazione.
E l’oggetto acquistato lo scorso anno a Torino da Fulvio Ferrari ha a che fare con la passione di Corbet per i cavalli.
Si tratta di un calamaio ricavato da uno zoccolo di Bobby, un pony appartenuto a Corbet e morto all’età di 15 anni.
Nell’Ottocento era usanza comune dei gentiluomini inglesi trasformare in calamaio lo zoccolo del proprio cavallo morto.
Era un modo semplice per ricordare l’amato compagno di momenti felici o per commemorare il vincitore di una corsa di cavalli. Spesso sul calamaio erano incisi il nome, l’età e le vittorie del cavallo.
Di solito la struttura metallica del calamaio veniva realizzata da un argentiere, mentre il compito di preparare, imbottire e montare lo zoccolo era affidato a un tassidermista.
Il più noto tassidermista britannico fu James Rowland Ward (1848-1912), fondatore di una prestigiosa ditta attiva fino a metà degli anni ’70.
Il negozio era al numero 167 di Piccadilly ed era soprannominato “The Jungle”. Al suo interno c’erano incredibili esempi di “animal furniture”.
Oltre che calamai, gli zoccoli di cavallo erano anche ottime basi per candelabri.
Si poteva acquistare un fermacarte ricavato dal becco di un albatros…
… era in vendita una sedia ricavata da una baby giraffa…
… si poteva optare per un tavolino con le gambe di cervo…
… oppure per un porta liquori ricavato da una zampa di elefante.
Ma l’oggetto più incredibile, a mio parere, era un impressionante orso-portavivande.
Chissà se il calamaio di Fulvio Ferrari uscì effettivamente dal negozio di Rowland Ward.
Magari era opera di un altro tassidermista londinese, Edward Gerrard & Sons, al numero 61 di College Place.
Nel Giugno 1955 Alfred Hitchcock (che di solito girava gli interni dei suoi film in studio) ambientò qui la scena de “L’uomo che sapeva troppo” in cui James Stewart entra nel laboratorio di un certo Ambrose Chappell, convinto di ritrovare il figlio scomparso.
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Interessante come sempre (nonostante il mio pensiero sia andato al passaggio che ha inevitabilmente preceduto il lavoro del tassidermista…)
All’epoca impagliare i trofei di caccia era la normalità. Nel post ho inserito gli esemplari più bizzarri ma le dimore nobiliari inglesi erano zeppe di pelli di leone sul pavimento, di teste di cervo alle pareti e di uccelli di ogni tipo.
Il mio preferito è il fermacarte!
Ma a proposito di tassidermia: hai mai parlato del Seven Stars? Probabilmente il pub più antico di Londra, ha in vetrina una bellissima collezione di tassidermia! Purtroppo quando ci sono stato era chiuso!
(Riguardo la sentenza… sono d’accordo col giudizio dei giornali).
Lo sai che non ci sono MAI stato? Ne ho letto più volte ma non ho mai varcato la soglia.
Il primo che ci va ne scrive, ok? 😉
Promesso! 😉