61 North Worple Way – National Rail: Mortlake
Il treno lascia lentamente Waterloo Station e comincia ad uscire dal centro di Londra. Il suo tragitto rimane a sud del Tamigi e vedo scorrere dal finestrino, uno dopo l’altro, i nomi delle stazioni: Vauxhall, Queenstown Road, Clapham Junction, Wandsworth Town, Putney, Barnes. La mia destinazione è un minuscolo cimitero cattolico nel sobborgo di Mortlake ma come sempre, quando visito un posto nuovo, mi guardo intorno. Una volta uscito dalla stazione trovo un piccolo edificio, oggi trasformato nella sede di un rivenditore di auto d’epoca, che fu costruito come sala d’attesa personale della Regina Vittoria, la quale si recava ogni tanto nella sua residenza di White Lodge, nel parco di Richmond.
Mi rendo conto subito di un’altra cosa: Mortlake è molto vicina all’aeroporto di Heathrow, il principale scalo di Londra, e me ne accorgo dal fatto che ogni 40 secondi (!) passa sopra la mia testa un chiassoso aeroplano in fase di atterraggio. Se aggiungete a questo il fatto che la ferrovia taglia in due il villaggio e che l’unico transito tra i due settori è possibile attraverso un passaggio a livello che è più chiuso che aperto… tutto ciò mi fa concludere che Mortlake è un po’ come Venezia: è bella… ma non ci vivrei!
Le mie aspettative però non saranno deluse, perché nel piccolo cimitero di St Mary Magdalene’s Church, che raggiungo a piedi in pochi minuti, mi aspetta una scoperta favolosa.
Prima di svelare questa meraviglia, però, devo fare un passo indietro di un paio di secoli ed introdurre il protagonista di questa storia: Sir Richard Francis Burton.
E’ difficile riassumere la biografia di un personaggio così fuori dall’ordinario, così come è impegnativo dare di lui una definizione. Esploratore, geografo, scrittore, traduttore, soldato, schermidore, cartografo, orientalista, etnologo, linguista, poeta, diplomatico: Sir Richard Francis Burton fu tutto ciò e probabilmente molto di più.
Nacque a Torquay, nel Devon, il 19 Marzo del 1821, figlio di un ufficiale dell’esercito britannico e di una ricca ereditiera. Fin da piccolo, a causa dei frequenti spostamenti della sua famiglia, si abituò ai viaggi e al contatto con culture diverse, dimostrando una sorprendente vocazione all’apprendimento delle lingue: imparò velocemente il francese, l’italiano, il latino e numerosi dialetti. Si dice che una breve relazione giovanile con una ragazza gitana fu l’occasione per imparare la lingua romaní.
Si iscrisse diciannovenne al Trinity College di Oxford ma fin da subito emerse una grave incompatibilità con insegnanti e studenti, nonostante o forse proprio a causa della sua intelligenza non comune. Sfidò a duello un compagno che aveva deriso i suoi baffi e, dopo altri episodi di insofferenza alle rigide regole del College, fu infine espulso per aver assistito ad una corsa di cavalli. Decise pertanto di arruolarsi nell’esercito e fu inviato in India, agli ordini del Generale Charles James Napier. Sotto le armi perfezionò il suo talento di spadaccino e la sua abilità nella lotta, nella quale dimostrava una “ferocia demoniaca” che gli permetteva di affrontare simultaneamente più avversari. Aggiunse poi altre lingue alla sua collezione: Hindustani, Gujarati, Punjabi, Sindhi, Saraiki e Marathi, oltre al persiano e all’arabo. Pare che nel corso della sua vita imparò qualcosa come 29 lingue e numerosi dialetti. Durante gli anni trascorsi in India allevò addirittura una piccola colonia di scimmie con lo scopo di imparare il loro linguaggio.
Burton aveva l’abitudine di indossare i vestiti degli abitanti del posto e sembra che il suo insegnante di lingua hindi gli permise di portare il janeu, il filo sacro della tradizione. Tutte queste pratiche ebbero come conseguenza il fatto che i suoi commilitoni cominciarono a chiamarlo “il negro bianco” e ad accusarlo di regredire ad uno stato primitivo.
La conoscenza dell’arabo e l’abilità nel camuffare le sue origini inglesi gli permisero, dopo sette anni di permanenza in India, di realizzare la prima impresa della sua vita: compiere l’Hajj, il pellegrinaggio alla Mecca. Non fu il primo europeo a riuscirci (l’italiano Ludovico de Varthema precedette tutti nel 1503) ma fu senz’altro colui che documentò meglio il viaggio. Un percorso che si rivelò pieno di pericoli (la sua carovana fu attaccata più volte dai banditi) e durante il quale dovette dimostrare la sua familiarità con le intricate tradizioni islamiche e con i complessi rituali di quei luoghi.
Una volta ritornato in India fece i preparativi per la successiva spedizione. Durante la permanenza in Medio Oriente aveva sentito i racconti di viaggiatori arabi che parlavano di grandi laghi all’interno del continente africano e così, supportato dalla Royal Geographical Society, decise che quella sarebbe stata la prossima meta. Con lui partirono altri tre britannici: John Hanning Speke, G. E. Herne e William Stroyan. Le cose purtroppo andarono male. Mentre erano accampati nei pressi di Berbera furono attaccati da circa duecento guerrieri somali. Stroyan fu ucciso, Speke fu catturato e ferito gravemente, riuscendo però a fuggire inseguito dai giavellotti scagliati dagli assalitori. Burton fu trafitto da una lancia, la cui punta lo trapassò da guancia a guancia, e dovette fuggire con l’arma ancora conficcata nella testa. La disavventura lasciò due profonde cicatrici sul volto di Burton e qualche strascico polemico tra lui e Speke.
L’insuccesso della spedizione, comunque, non impedì alla Royal Geographical Society di finanziare un secondo tentativo, sempre affidato a Burton e Speke. Partirono il 27 Giugno del 1857 dalla costa orientale dell’Africa, diretti verso l’interno. Questa volta il nemico principale furono le malattie tropicali che resero Speke temporaneamente cieco e sordo in un orecchio (a causa di un’infezione nel tentativo di estrarre uno scarafaggio) e che impedirono a Burton di camminare per alcuni giorni. Nel Febbraio 1858 raggiunsero il Lago Tanganica. Burton fu rapito dalla vista dell’immenso lago, mentre il povero Speke era ancora alle prese con la cecità. Successivamente Burton tornò ad ammalarsi e fu costretto al rientro mentre il suo compagno riacquistò la vista e si diresse verso nord, arrivando infine a localizzare quello che battezzò Lago Vittoria, in onore della sovrana, e a considerare questi luoghi le leggendarie sorgenti del Nilo. I due esploratori rientrarono separatamente in Inghilterra, molto provati nel fisico dall’esperienza, e cominciò tra loro una battaglia fatta di invidie e gelosie reciproche. Fu l’ultimo grande viaggio di Burton mentre Speke tornò negli stessi luoghi nel 1863 accompagnato da James Augustus Grant. Esplorò nuovamente il Lago Vittoria e scoprì il Lago Alberto, tornando in trionfo lungo il fiume Nilo, anche se per un certo tratto perse traccia del corso del fiume: questo particolare fece sì che Burton e altri rimasero dubbiosi sull’effettiva scoperta delle sorgenti del fiume.
La querelle continuò per mesi dopo il rientro di Speke e si concluse soltanto con la morte di quest’ultimo il 15 Settembre del 1864, proprio il giorno prima di un incontro tra i due contendenti di fronte alla British Association for the Advancement of Science. Durante una battuta di caccia un colpo fortuito di fucile trapassò il petto di Speke. L’inchiesta che seguì escluse la possibilità del suicidio, considerandola una morte accidentale.
Il capitano Burton, terminata l’esperienza di esploratore, sposò Isabel Arundell con una cerimonia cattolica nel Gennaio 1861 e cominciò la carriera di diplomatico. Guinea Equatoriale, Brasile, Damasco ed infine nel 1872 Trieste, con l’incarico di console di Sua Maestà. Questa vita più tranquilla gli permise di dedicarsi alla scrittura, ai resoconti dei suoi viaggi e alle traduzioni di opere ancora inedite in Europa, come Le Mille e una notte ed il Kāma Sūtra, creando scalpore e attirandosi l’accusa di pornografia. Durante i suoi viaggi Burton aveva infatti annotato usi e costumi di tutte le popolazioni che aveva incontrato e con cui aveva vissuto, concentrandosi in particolare sulle loro abitudini sessuali e descrivendole nei minimi particolari. Per poter aggirare i divieti di pubblicazione imposti dall’Obscene Publications Act del 1857 creò la Kama Shastra Society, una sorta di club di lettori all’interno del quale era possibile far circolare volumi che altrimenti sarebbero stati censurati dalla temibile Society for the Suppression of Vice.
Sir Richard Francis Burton morì d’infarto a Trieste la mattina del 20 ottobre 1890. La moglie Isabel, fervente cattolica, chiamò un sacerdote per dargli l’estrema unzione (sembra che fu somministrata a morte già avvenuta). Burton si era sempre dichiarato ateo ma Isabel, convinta di potergli regalare una redenzione postuma, organizzò un sontuoso funerale a Trieste celebrato dal vescovo della città.
Dopo le esequie si chiuse nella villa sul colle di San Vito e nei giorni successivi mise in atto un piano scellerato. Gettò tra le fiamme tutti i lavori incompiuti che affollavano lo studio del marito, compreso il prezioso manoscritto Il giardino profumato, il suo ultimo lavoro di traduzione di un manuale arabo. Zeppo di consigli sulle pratiche sessuali, sulle precauzioni relative all’igiene e ai rimedi contro le malattie, secondo Burton questo testo era reso unico dalla “serietà con la quale sono trattati gli argomenti più lascivi e osceni”. Per la cattolicissima Isabel, che aveva vissuto devota per decenni accanto ad un uomo così carismatico, la distruzione di questo e di altri lavori con contenuti simili era l’unico modo per una salvifica conversione.
E così tutte le opere inedite di Sir Richard Francis Burton andarono in fumo nel giardino di Villa Economo, la dimora triestina dove Lady Isabel visse per qualche altro anno prima di fare ritorno in Inghilterra, dove morì nel 1896. Nonostante il marchio della colpa per la distruzione del lavoro del marito, Isabel sarà però ricordata per lo straordinario omaggio finale che gli riservò al momento della sepoltura.
La tomba di Sir Richard Francis Burton fu infatti disegnata e fatta costruire in prima persona da sua moglie. E si tratta di una tomba davvero incredibile.
Supero l’entrata della piccola chiesa di St Mary Magdalene e mi trovo subito nel minuscolo cimitero. Il luogo dove riposa Burton ha la forma di una tenda beduina: può esistere un posto migliore per l’eterno riposo di un esploratore indomito? E’ fatta di pietra ma vista da lontano l’occhio cade in inganno, sembra davvero che una folata di vento possa far danzare da un momento all’altro le pareti drappeggiate. C’è un crocefisso ma c’è anche un motivo di stelle e mezzelune che è un chiaro riferimento al deserto e all’iconografia islamica. Mi avvicino e trovo una piccola lapide a forma di libro aperto che reca le date di nascita e morte dei coniugi. Sotto di essa un omaggio firmato da Justin Huntly McCarthy.
Ma la meraviglia mi attende appena giro intorno alla tenda. Piantata in terra c’è una massiccia scaletta di ferro a quattro pioli. Li salgo con calma, in modo solenne. Riesco così a guardare attraverso una piccola finestra che però riflette gli alberi sopra la mia testa. Devo allora avvicinarmi al vetro, fare schermo con le mani e finalmente riesco a vederli entrambi.
Sir Richard Francis Burton e Lady Isabel sono lì, riposano l’uno accanto all’altra da più di un secolo in una piccola stanza illuminata ogni giorno dal sole e piena di oggetti bizzarri sul pavimento e appesi alle pareti. Uno specchio rettangolare sulla parete di fondo mostra un piccolo altare che altrimenti non riuscirei a vedere e dà quasi l’illusione che tra i due sarcofagi si apra una seconda stanza che in realtà non esiste.
La cassa di Isabel, a sinistra, è molto semplice, in legno; quella di Burton è più elaborata, con maniglie dorate e mostra una grande croce. Lampade arabe, vasi colorati, campanacci per cammelli, cavi elettrici: tutto è ricoperto da una spessa coltre di polvere.
Resto qualche minuto in cima alla scala e poi scendo, lentamente com’ero salito. Un ultimo saluto al capitano Burton e alla sua consorte, mi allontano e chiudo il cancelletto cigolante del piccolo cimitero di Mortlake.
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