59 Old Compton Street – Tube: Piccadilly Circus
Ricordo bene quella sera. Era il 3 Marzo di sei anni fa e nella mia agendina di allora leggo che avevo passato le ultime ore del pomeriggio a Soho, per cercare e fotografare i luoghi di un post culinario che sarebbe poi uscito sul blog due mesi più tardi. Avevo infatti deciso di ripercorrere le orme dei cronisti del Sunday Times Magazine che in un venerdì qualunque del 1968 erano entrati in otto ristoranti di Soho, per scoprire chi fosse seduto a tavola in quel momento.
Al termine del tour mi fermai a cena nell’ultimo degli otto ristoranti, L’Escargot, con sommo godimento.
Lasciai il locale dopo le 22 e scesi lungo Greek Street. Arrivato all’incrocio con Old Compton Street, girai nuovamente a destra. Ricordo che mentre percorrevo il marciapiede, ancora inebriato dal pinot nero con cui avevo accompagnato il mio cassoulet au confit de canard, pensavo alla quantità di storie meravigliose racchiuse nel quartiere di Soho, in un’area grande appena un miglio quadrato.
Fu proprio mentre ero avvolto in questi pensieri che mi accorsi di una targa di colore verde, affissa alla parete di un locale al numero 59 di Old Compton Street. La notai perché era posta ad altezza d’uomo, diversamente da come si presenta oggi.
Qualche anno fa è stata infatti spostata più in alto, sulla parete di mattoni al primo piano dell’edificio, tra due finestre. E’ qui che potete leggere la seguente descrizione:
City of Westminster
Site of the 2i’s coffee bar (1956 – 1970), birthplace of
British rock ‘n roll and the popular music industry
Incuriosito, entrai nel locale, succursale di una catena di fish & chips chiamata Poppies.
Ordinai una pinta di birra e mi guardai intorno.
Sulla parete alla mia sinistra c’era una gigantografia in bianco e nero, l’immagine di un coffee bar chiamato “2i’s”, la cui insegna recava in piccolo la scritta “Home of the Stars”. Accanto alla fotografia, una ripida scala scendeva al piano inferiore.
Scesi lungo i gradini, un po’ perché ero curioso e un po’ perché la birra aveva reso urgente una visita alla toilette.
Nel seminterrato, angusto e dal soffitto piuttosto basso, c’era un murale invecchiato artificiosamente, con alcune parti scrostate, in cui figurava un giovane chitarrista con un look anni ’50.
Non potevo saperlo ma mi trovavo nel luogo esatto in cui il rock ‘n’ roll sbarcò in Gran Bretagna.
Nella Londra di metà anni ’50, e in particolare a Soho, era esplosa la moda dei coffee bar. Tutto era iniziato quando un rappresentante di apparecchiature per dentisti, Pino Riservato, era giunto in Inghilterra e si era subito accorto che a Londra era praticamente impossibile gustare una tazzina di caffè decente. Aveva deciso dunque di provare ad importare e a vendere le rivoluzionarie e bellissime macchine da caffè Gaggia.
Il Moka Bar al 29 di Frith Street, il primo espresso bar di Londra, aprì nel 1953 alla presenza di Gina Lollobrigida.
I coffee bar ebbero subito un successo enorme: finalmente i teenager, troppo giovani per entrare nei pub, avevano un luogo dove incontrarsi e locali come il Moka Bar cominciarono a spuntare come funghi in giro per Soho e non solo.
Un giorno, nel locale che stava al numero 59 di Old Compton Street, arrivò un giovane australiano di nome Paul Lincoln, wrestler professionista che aveva appena deciso di ritirarsi dal ring. Aiutato da un amico lottatore, “Rebel” Ray Hunter, rilevò la licenza da due fratelli, Freddie e Sammy Irani: fu l’iniziale del loro cognome a dare il nome al locale. Il “2 i’s coffee bar” aprì i battenti il 22 Aprile 1956.
Per raccontare il seguito di questa storia mi faccio aiutare da un articolo uscito sulla rivista Picturegoer due anni dopo, il 26 Aprile 1958.
Per il milione di abitanti di Sydney, in Australia, il nome di Paul Lincoln non significava nulla. Tranne che per i lettori delle pagine sportive che seguivano le sorti di un lottatore dilettante di diciotto anni. Ma allora il suo nome contava solo poche righe. Era l’Agosto del 1951. Ora, nell’Aprile del 1958, il suo nome finisce in prima pagina… titoli come “Lottatore australiano si arricchisce a Soho” vengono orgogliosamente ritagliati dalla madre quando vengono recapitati nella sua piccola casa in periferia.
Questo è il grado di successo che il massiccio ventiseienne con l’orecchio a cavolfiore ottiene in questi giorni. Sì, Paul Lincoln – boss del 2 i’s coffee bar di Soho e creatore di stelle del rock’n’roll per gli adolescenti in Gran Bretagna – è una celebrità internazionale. Il suo nome è citato in tutto il mondo e ogni giorno si vedono turisti che guardano l’esterno poco appariscente del suo bar in Old Compton Street.
Eppure Paul Lincoln è in realtà un ragazzo da retrobottega. È l’uomo che sta dietro alle star adolescenti del rock ‘n’ roll che oggi hanno i loro nomi scritti con il neon. È l’uomo che li porta negli studi di registrazione e li trasforma in artisti da 800 sterline a settimana. Tommy Steele, Terry Dene, Wee Willie Harris, Nancy Whiskey… sono solo alcuni nomi del flusso continuo di star del disco che hanno varcato le porte girevoli del 2 i’s per raggiungere la fama.
Ogni settimana decine di aspiranti Tommy Steele arrivano a Soho con la convinzione che la loro voce o la loro personalità li porterà alla fama. Tutti si rivolgono all’oracolo: Paul Lincoln.
Lo chiamano, lo aggrediscono al 2 I’s, salgono le scale traballanti fino al suo ufficio di due stanze di fronte al Windmill Theatre e cercano di farsi strada oltre la sua attraente segretaria.
La maggior parte di loro ritorna scoraggiata. Ma solo uno su cento attira la sua attenzione. Una voce accattivante, una personalità, un look azzeccato: potrebbe essere qualsiasi cosa. Come è iniziato tutto? Come ha fatto un giovane australiano con poche sterline in tasca e che non sapeva nulla del mondo dello spettacolo a entrare nella ristretta cerchia di potenti agenti, manager e promotori che gestiscono il mondo dello spettacolo britannico?
Nel 1951, Lincoln aveva 20 sterline in tasca quando arrivò a Tilbury. Il suo primo lavoro fu un incontro di wrestling a Bristol, grazie alla vittoria del titolo del Nuovo Galles del Sud. Vinse. Seguirono una serie di gare, con risultati più o meno pari. Ma si costruì una reputazione di buon trascinatore di folle. Sebbene fosse alto solo un metro e ottanta (poco per un lottatore), era il migliore.
Lincoln girò l’Europa. Tornò con una notevole abbronzatura, sentendosi in cima al mondo. Un giorno, passeggiando a Soho, vide un piccolo bar in vendita. Si informò sul prezzo. Dopo aver dato un’occhiata ansiosa al suo saldo bancario, accese un mutuo e lo comprò. Si trattava di un normale bar con una lucida macchina per l’espresso. Nel 1955 a Londra il caffè costava due pence Seguendo l’esempio di altri gestori di bar, assunse un chitarrista. Nessuno ci fece caso.
Poi provò con un piccolo sestetto jazz. I risultati furono un po’ più brillanti, ma gli incassi settimanali non gli piegavano le ginocchia quando andava in banca a depositarli. Poi un giovane chitarrista di nome Johnny Martyn gli chiese se poteva portare un gruppo a suonare al bar.
Lincoln disse di sì e affisse un avviso in vetrina. C’era scritto “The Vipers”.
Il gruppo prese tutti in contropiede. Prima ancora che Lincoln potesse ingaggiare altro personale, i clienti gli stavano già facendo fare affari d’oro. I ragazzi arrivavano a frotte. E tra questi giovani dilettanti entusiasti c’era un ragazzo cockney di diciotto anni con i capelli a spazzola, appena uscito dalla Marina Mercantile. Il suo nome? Tommy Hicks, oggi conosciuto su entrambe le sponde dell’Atlantico come Tommy Steele. Steele si unì ai Vipers. Lincoln si limitò a servire cappuccini e a contare gli incassi.
Per lui, Steele aveva lo stesso impatto di una ciambella che cade su un piatto. Ammette Lincoln candidamente: “Francamente, mi era del tutto indifferente. Non mi ha impressionato né in un senso né nell’altro”. Ben presto Lincoln fece pagare un biglietto d’ingresso di sei pence ai ragazzi, sempre più numerosi. Le code di giovani il sabato pomeriggio aumentavano ancora. Erano disposti ad aspettare per ore per un posto in piedi nel polveroso seminterrato del 2 i’s. Lincoln aumentò il prezzo a uno scellino. Poi a uno scellino e sei pence. Ma la folla continuava a crescere. Poi Tommy Steele se ne andò, la sua favolosa storia di successo era solo il primo capitolo di un’altra storia di successo: quella di Paul Lincoln e del 2 i’s.
Era iniziato tutto quasi per caso il 14 Luglio 1956, anniversario della presa della Bastiglia, durante la seconda edizione della Soho Fair. I Vipers, uno dei tanti gruppi che in quel periodo suonavano lo skiffle, si stavano esibendo a bordo di un autocarro che procedeva a passo d’uomo per le strade del quartiere. Ad un certo punto, mentre percorrevano Old Compton Street, iniziò a piovere a dirotto e i musicisti scesero dal camion per ripararsi in un bar. Qui strimpellarono un paio di pezzi e attirarono l’attenzione di Paul Lincoln, che propose loro di tornare la settimana seguente per suonare nel seminterrato, dove c’era un piccolo palco fatto di assi e cassette di legno. Fu questo l’episodio che trasformò uno dei tanti coffee bar di Soho nella culla del rock ‘n’ roll britannico.
Una sera, durante un affollatissimo concerto dei Vipers, salì sul palco un loro giovanissimo amico, Tommy Hicks. Prese il microfono e cantò un paio di canzoni, impressionando un produttore della Decca che si era confuso tra il pubblico e che gli propose subito un contratto discografico. Fu così che nel giro di pochi giorni, grazie a “Rock with the Caveman”, Tommy Steele divenne il primo vero idolo pop degli adolescenti britannici, la risposta inglese a Elvis Presley.
Il 2I’s divenne noto come il “centro di reclutamento per la prima generazione di rocker londinesi”e un “rifugio per manager e agenti a caccia di nuovi talenti”.
Musicisti come Cliff Richard, Adam Faith, e Ritchie Blackmore spiccarono il volo da qui. Il futuro manager dei Led Zeppelin, Peter Grant, fu il buttafuori del locale per un periodo.
All’inizio degli anni ’60, lo scenario era già cambiato drasticamente. I coffee bar non erano più così in voga, lo skiffle era rapidamente tramontato, il rock ‘n’ roll si suonava ormai su palchi ben più grandi di quelli del 2 I’s.
Paul Lincoln vendette il locale e si dedicò all’organizzazione di incontri di wrestling in tutto il Paese. Tornò a combattere lui stesso, indossando il costume e la maschera del famigerato Dr. Death.
Il 2 I’s chiuse i battenti nel 1970 e da allora si sono succedute decine di insegne: bar, ristoranti, tavole calde. L’ultima incarnazione è quella di Poppies, che a quanto dicono serve un fish & chips niente male. Non posso confermarlo in prima persona perché quella sera ero già sazio a sufficienza.
Ero però felice di aver scoperto l’ennesima perla racchiusa nel miglio quadrato di Soho. Un minuscolo coffee bar a cui nel 1957 il selvaggio Wee Willie Harris dedicò uno dei suoi maggiori successi.
I go every night, I make myself some tea
I rush into the bedroom, put on my old blue jeans
Back down the stairs, I said goodbye to mum
She looks at me and says ‘Where you going son?’
Goin’ rockin’ at the 2i’s
Well, rockin at the 2i’s
Yeah, rockin at the 2i’s
Well, rockin at the 2i’s
Well, rockin at the 2i’s
We won’t be home tonight
Now, rushed out the gate, went walking down the road
I got up to the bus stop, put on my overcoat
Along came a bus, a number 54
When I got inside, they were rockin’ on the floor
Goin’ rockin’ at the 2i’s
Well, rockin at the 2i’s
Yeah, rockin at the 2i’s
We won’t be home tonight
I out picked a chick, she was the most
We rocked and we rolled till I lost that ghost
We danced and we jived the whole night through
I lost her heel on my blue suede shoe
Goin’ rockin’ at the 2i’s
Well, rockin at the 2i’s
Yeah, rockin at the 2i’s
Well, rockin at the 2i’s
Well, rockin at the 2i’s
We won’t be home tonight
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