Westminster Abbey – Tube: Westminster
Sono i giorni delle Olimpiadi di Parigi e mi sembra incredibile che siano trascorsi già tre anni da quel pomeriggio del 1° Agosto del 2021 in cui rimasi incollato davanti al televisore, strabuzzando gli occhi come milioni di connazionali. A Tokyo accadde infatti qualcosa di incredibile: due italiani vinsero altrettante medaglie d’oro, a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro: Gianmarco Tamberi nel salto in alto e Marcell Jacobs nei 100 metri, stabilendo il nuovo record europeo.
Quella di Jacobs fu l’impresa che mi colpì di più, perché da sempre i 100 metri (e in generale le gare di velocità) sono appannaggio di statunitensi, canadesi, britannici o giamaicani. Mai un italiano era salito sul podio prima di Jacobs. Immaginare quindi una medaglia d’oro era impensabile. E invece…
Il mio primo ricordo di un’Olimpiade è legato proprio ai 100 metri piani e al polverone che si scatenò nel 1988 quando a Seul trionfò un uomo che aveva (quasi) lo stesso nome del protagonista del post di oggi ma che tre giorni dopo fu squalificato per doping.
In realtà ben sei degli otto finalisti di Seul 1988 ebbero prima o poi problemi con sostanze proibite in un momento della loro carriera o confessarono di averne fatto uso. Anche l’americano Carl Lewis, a cui venne poi assegnata la medaglia d’oro, e il britannico Linford Christie, argento. Tra questi sei, l’unico che pagò fu il canadese Ben Johnson. Medaglia revocata, record del mondo annullato, squalifica di tre anni e reputazione compromessa.
Tra pochi giorni sapremo se Marcell Jacobs riuscirà o meno a ripetersi sulla pista dello Stade de France ma intanto il nome di Ben Johnson mi ha ricordato una storia curiosa che non avevo ancora raccontato. Quella di Ben Jonson, l’uomo che fu sepolto in piedi nell’Abbazia di Westminster.
Lo spelling del cognome del drammaturgo, attore e poeta londinese vissuto a cavallo tra 1500 e 1600 è leggermente diverso da quello dello sprinter canadese (soprannominato Big Ben, altra curiosa coincidenza) perché non c’è la lettera H.
In realtà, se percorrete la navata nord dell’Abbazia, troverete una mattonella sul pavimento con l’iscrizione “O RARE BEN JOHNSON”, lo stesso cognome del velocista. E troverete un’altra targa con la stessa identica dicitura alla base di una parete poco distante. Nel celebre Poets’ Corner, infine, potrete ammirare una lapide commemorativa che risale al 1723, quasi un secolo dopo la morte di Jonson. Anche qui il cognome è storpiato in JOHNSON.
Come mai esistono ben tre lapidi dedicate allo stesso uomo? E perché recano tutte un errore?
Le cose andarono così. Ben Jonson morì a Londra il 6 Agosto 1637, in una casa nei pressi dell’Abbazia di Westminster. Nonostante una vita in cui non erano mancati i successi, gli onori e i guadagni, l’autore di Volpone e de L’Alchimista morì in grande povertà.
Una storia narra che un giorno Jonson aveva implorato “diciotto pollici di terreno quadrato nell’Abbazia di Westminster” dal re Carlo I.
Un’altra racconta che, parlando con il decano di Westminster della possibilità di essere sepolto nel Poets’ Corner, Jonson rispose: “Sono troppo povero per questo e nessuno si accollerà le spese funerarie. No, signore, sei piedi di lunghezza per due piedi di larghezza è troppo per me: due piedi per due piedi andranno più che bene”. “Li avrete” rispose il decano.
Fu così che Jonson, primo e unico, fu sepolto in piedi nella navata settentrionale dell’Abbazia.
In quel periodo il disegno sul pavimento della navata comprendeva diverse linee di pietre di diciotto pollici quadrati (il resto era a losanghe). Jonson, parlando con il decano, si riferiva evidentemente a queste pietre.
La bara contenente il suo corpo fu calata in verticale, con i piedi in basso e la testa in alto.
L’iscrizione “O RARE BEN JOHNSON” fu realizzata a spese di un certo Jack Young, che passava di lì mentre la tomba veniva chiusa. Consegnò al muratore (probabilmente colui che fu all’origine della storpiatura del cognome) la cifra di diciotto pence per incidere la scritta.
All’inizio del XIX secolo la pavimentazione della navata fu interamente rifatta e la pietra originale fu spostata alla base del muro di fronte.
Al suo posto una piccola pietra grigia, quella che vediamo ancora oggi, con la stessa iscrizione con la H nel cognome.
Una vera e propria lapide fu eretta nel 1723 nella navata orientale del Poets’ Corner. Include un medaglione con il suo ritratto e la stessa iscrizione della pietra tombale (ancora una volta indicata come Johnson).
Nel 1823 fu sepolta nell’Abbazia la consorte del generale Robert Wilson, governatore di Gibilterra.
A Lady Wilson fu assegnato un loculo adiacente a quello di Ben Jonson. Mentre veniva scavata la fossa, comparvero i resti del drammaturgo. Lo scheletro era in condizioni accettabili, il teschio era rotolato all’altezza delle ossa delle gambe. Sul cranio erano ancora visibili i capelli rossicci di Jonson.
Ventisei anni dopo, nel 1849, morì Robert Wilson, che fu sepolto accanto alla consorte.
Il decano di Westminster, all’epoca, era il geologo William Buckland. Sapendo che la tomba di Ben Jonson sarebbe stata nuovamente disturbata, incaricò il figlio Francis di presenziare durante i lavori e di recuperare il teschio del drammaturgo. Francis (Frank) Buckland, zoofago e gourmet, è una nostra vecchia conoscenza: potete leggere la sua storia in un mio post di qualche anno fa.
Il giovane obbedì e portò il cranio di Jonson nello studio del padre. Qui fu studiato e successivamente riportato nell’Abbazia, per essere sepolto con il resto dello scheletro.
Tutto questo si ripetè dieci anni dopo. Quando nel 1859 il corpo del celebre chirurgo e anatomista John Hunter (morto nel 1793) fu trasportato dalla chiesa di St Martin in the Fields, Buckland diede istruzioni precise: se il corpo di Ben Jonson fosse riaffiorato, se ne sarebbe occupato lui stesso.
Così avvenne. Il becchino Spice, lo stesso che aveva sepolto Robert Wilson dieci anni prima, gli consegnò il teschio del drammaturgo.
Frank Buckland, temendo che potesse essere rubato, lo nascose fino al momento in cui terminò la cerimonia per la sepoltura di John Hunter. Quando la gente se ne andò e l’Abbazia rimase vuota, prima che la tomba del chirurgo venisse chiusa, pose il teschio di Ben Jonson sulla bara di piombo di Hunter.
Da allora è rimasto tutto così.
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