La magistrale carrellata di Hitchcock

3 Henrietta Street – Tube: Covent Garden


ATTENZIONE: QUESTO POST CONTIENE SPOILER E PUÒ NUOCERE GRAVEMENTE ALLA SALUTE.

Quando, nel mese di Agosto del 1971, le riprese del film si spostarono dagli studios di Pinewood al mercato di Covent Garden, ogni giorno si formava una lunga fila di cacciatori di autografi. Durante le pause sul set Alfred Hitchcock accendeva un sigaro e accontentava tutti, aggiungendo all’autografo il disegno della sua celebre silhouette e dispensando battute.

Ad una donna che gli si presentò davanti dicendogli che non desiderava autografi ma che voleva soltanto ammirarlo, rispose: “Sono lusingato ma avrebbe potuto farlo più comodamente visitando Madame Tussaud’s!”.

Un giorno si fece avanti un uomo molto anziano, che chiese di parlare con il regista. Gli raccontò che più di sessant’anni prima aveva conosciuto suo padre, mercante di frutta e verdura che spesso frequentava Covent Garden per rifornirsi di merce. Hitchcock, commosso, lo aveva portato con sé a pranzo.

Il regista era tornato a Londra all’età di 72 anni proprio per riallacciare il legame con la città che gli aveva dato i natali e aveva scelto di ambientare parte del suo nuovo film tra i banchi di frutta e verdura del Covent Garden. Un omaggio a suo padre e ad una zona di Londra che di lì a poco sarebbe cambiata drasticamente: era stato infatti già deciso lo spostamento del mercato nella nuova sede di Nine Elms, che sarebbe in effetti avvenuto tre anni dopo, nel 1974. Passeggiando oggi intorno all’elegante edificio neoclassico al centro della piazza, costruito nel 1830 da Charles Fowler, sembra impossibile che, fino a 50 anni fa, ogni mattina convergessero qui centinaia di furgoni e di carretti carichi di merci. Un traffico davvero infernale.

Frenzy, il film che sarebbe uscito l’anno successivo, documenta meravigliosamente com’era un tempo questo angolo di Londra oggi scomparso. Segnava anche il ritorno di Hitchcock sul suolo inglese, 21 anni dopo la realizzazione di Paura in palcoscenico.

Il primo film di successo, The Lodger, l’aveva girato 45 anni prima, ispirandosi alla storia del più famoso serial killer londinese. “The Lodger era incentrato su Jack the Ripper.” diceva Hitchcock, “L’antagonista di Frenzy potrebbe chiamarsi Jack the Zipper.”

L’assassino del film è infatti uno psicopatico che violenta le proprie vittime prima di strangolarle con la cravatta. Nella lunga galleria di assassini dei 53 lungometraggi del mago del brivido, è senza dubbio il più violento. “Jack the Zipper” o “The Necktie Strangler”, come lo ribattezzano i quotidiani all’inizio del film.

La premessa è la stessa di altri capolavori del regista: un individuo ingiustamente accusato di un crimine, che deve discolparsi e sfuggire alla caccia all’uomo che viene scatenata contro di lui.

Jon Finch, l’attore protagonista, funziona abbastanza bene ma il personaggio che non si dimentica è quello dell’assassino, Bob Rusk, interpretato da Barry Foster: viso rubizzo, capelli ondulati di colore biondo-rossiccio, accento cockney, vestiti sgargianti. Lo definirei un Michael Caine del discount. Niente a che vedere con i raffinati cattivi scritturati precedentemente da Hitchcock, attori come Ivor Novello, Cary Grant o Joseph Cotten.

Anche l’appartamento di Rusk rispecchia il personaggio. In un’efficace inquadratura il regista lo mette in mezzo alle riproduzioni di due dipinti di Vladimir Tretchikoff, artista soprannominato “Il Re del Kitsch”.

Uno dei due è la famosa “Chinese Girl” (conosciuta anche come “The Green Lady”), uno dei quadri più riprodotti dello scorso secolo: negli anni ’60 e ’70 era presente in moltissime case, tanto che il suo autore era considerato il pittore più ricco del mondo dopo Picasso.

Parlando di Frenzy ho accennato finora a due diversi tipi di carrellate: la carrellata di assassini presenti nella ricca filmografia di Hitchcock e le carrellate di merci che ogni mattina venivano caricate e scaricate nel vecchio mercato di Covent Garden.

Ce n’è un’altra, però, di cui vi voglio raccontare. E’ la magistrale carrellata con cui noi spettatori partecipiamo impotenti alla tragica fine di Babs Milligan, la compagna del protagonista.

La scena è preceduta da un’altra sequenza memorabile, degna della New Hollywood e sorprendentemente innovativa per un regista di 72 anni: Babs esce furiosa dal pub dove lavora, dopo aver mandato al diavolo il titolare. Si ferma sulla soglia. Primo piano del suo volto e improvvisamente il sonoro svanisce, i rumori della strada si fermano. Dopo qualche secondo di totale silenzio entra una voce fuori campo: “Hai un posto dove andare?” Alle sue spalle, come un fantasma, compare Bob Rusk, l’uomo che la condurrà nel proprio appartamento per ucciderla. La scomparsa dell’audio è un’idea geniale, coraggiosa, lascia a bocca aperta. Aveva ragione Truffaut, che definì Frenzy l’opera di un giovane.

Ma torniamo alla carrellata. L’appartamento di Bob Rusk è proprio accanto al mercato, al numero 3 di Henrietta Street. Rusk e Babs salgono le scale, lei disinvolta e ignara di quanto sta per accadere, lui dietro di lei, con uno sguardo laido. La macchina da presa è davanti a loro, li fa passare alla fine della prima rampa e li riprende mentre varcano la soglia dell’appartamento e Rusk richiude la porta.

Un regista qualsiasi avrebbe mostrato per intero la scena dell’omicidio. O magari avrebbe inquadrato l’uscio chiuso e avrebbe fatto ascoltare quanto avveniva all’interno dell’appartamento.

Hitchcock no. Hitchcock utilizza una tecnica già sperimentata in passato, quella di escludere il pubblico da un momento cruciale della storia chiudendo una porta o una finestra. Questa volta lo fa con un espediente geniale: si allontana in retromarcia con la macchina da presa, scendendo le scale, riattraversando all’indietro il vestibolo e tornando in strada. Davanti alla cinepresa scorrono passanti, facchini, autocarri. Poi l’inquadratura si alza ed ecco le finestre del primo piano, quelle dell’appartamento di Rusk. Mentre fuori la vita scorre normalmente, sappiamo che dietro quelle finestre sta per compiersi un orribile omicidio.

La sequenza è apparentemente un’unica ripresa, ma osservandola meglio si nota che c’è un taglio nel momento in cui la macchina da presa esce in strada, realizzato sfruttando il passaggio di un facchino che trasporta un sacco di patate.

Si passa così dagli interni girati a Pinewood, dove fu costruita una replica esatta della scala e dell’ingresso del numero 3 di Henrietta Street, al traffico di Covent Garden. E’ soltanto una minuscola disattenzione dello scenografo (la diversa posizione del pomello di una porta) a rivelare il trucco allo spettatore più pignolo. Una volta in strada possiamo scorgere due finestre al piano terra, adibite a vetrina, e un’insegna in ottone: GERALD DUCKWORTH & CO. LIMITED – PUBLISHERS.

A questo indirizzo, infatti, c’era la sede di una piccola casa editrice londinese, fondata da Gerald Duckworth, fratellastro di Virginia Woolf. Nello stesso anno, subito dopo la fine delle riprese, l’ufficio di Henrietta Street fu venduto e l’attività si spostò a Camden. L’insegna di Duckworth compare anche in questa immagine, tratta da una scena eliminata dalla versione definitva.

Con un po’ di fatica sono riuscito a “scerloccare” il libro presente in più copie nella vetrina. E’ un volume di filosofia scritto da Alasdair Macintyre e s’intitola “Against the self-images of the age: essays on ideology and philosophy”. Pubblicato nel 1971, se lo volete sfogliare lo trovate qui.

Oggi Covent Garden è cambiata radicalmente ma l’edificio al numero 3 di Henrietta Street, risalente al 1780, è rimasto apparentemente uguale. La facciata è stata ripulita dalla fuliggine e al suo interno si trovano ben quattro diversi locali: Lilly’s Cafe, Pivot British Bar & Bistro by Mark Greenaway, El Ta’koy e Pizza Luxe. Se Hitchcock tornasse su questa terra nel 2023 e visitasse il quartiere, rimarrebbe totalmente spaesato. Il Covent Garden proletario, sudicio e immorale di Frenzy non c’è più, apparentemente sostituito da una nuova versione, opulenta e patinata.

L’anno scorso, aiutato da Silvia che mi guardava le spalle ed evitava che urtassi qualcuno o mi facessi investire da un’automobile, ho provato a ripercorrere in parte il tragitto della cinepresa.

Come tutti sanno, uno dei marchi di fabbrica di Hitchcock erano i camei all’interno dei suoi film, spesso ironici e geniali. In Frenzy aveva inizialmente pensato di comparire nella parte di un cadavere che galleggia sul Tamigi.

Per realizzare la scena era stato costruito un manichino con le sue fattezze. Poi cambiò idea e utilizzò il corpo di una ragazza, l’ennesima vittima dell’assassino della cravatta. Hitchcock fece la sua apparizione tra la folla che ascolta un oratore sulla sponda del fiume.

Il manichino fu utilizzato nello spassoso trailer del film.

La testa fu staccata, messa in valigia e tornò con il regista a Los Angeles. Eccola nel capiente frigorifero della sua villa, accanto alla sorridente signora Hitchcock.



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