Un dopo


Questa è la quinta parte di un racconto diviso in sette capitoli, uscito a puntate nel 1928 sulle pagine dell’Evening Times. L’ho tradotto facendo del mio meglio e ho anche pensato ad un’immagine per illustrarlo. In questo post ho raccontato le bizzarre circostanze in cui lo rinvenni in un mercatino nel 2015. Buona lettura!

Chissà cosa penseranno di me le persone che traversano il cimitero di Streatham e vedono questo anziano signore che scrive tutto intento, in un ponderoso tomo di anatomia umana… e chissà cosa penserebbero, se sapessero che sto scrivendo, con un inchiostro invisibile, parole che forse nessuno mai potrà leggere!

Ho sempre amato il cimitero di Streatham, fin da quando venni qui la prima volta; fin da quando la mia attenzione fu attirata dal tempietto che sovrasta la tomba di

HENRY BUDDEN

WHO DIED ON APRIL 28 1907

AGED 71

CALLED – JUSTIFIED – GLORIFIED

e pensai che anche a me, un giorno, sarebbe piaciuto essere sepolto sotto un pilastro ricoperto di azzurre piastrelle di ceramica Doulton, presso i cui forni era stata cotta anche la brocca con cui mi lavai le mani dopo il mio primo intervento chirurgico…

Ah, fossi rimasto solo un medico! Magari ora non sarei qui, a sperare che Holmes lasci di me abbastanza per dar seguito al mio desiderio.

So benissimo che è colpa mia, che sono uno sciocco: avrei dovuto capire, fin dall’inizio, che non c’è fuga dalle maglie, sempre più strette, di un ricattatore (e di un ricattatore di quella perizia, poi!). Credevo che, dopo l’ultima infamia, quella di Dartmoor, avrebbe tenuto fede alla sua parola; credevo che, finalmente, mi avrebbe lasciato vivere in pace quei pochi giorni che mi restano… solo un ingenuo come me poteva pensare che esistesse un limite alla sua cupidigia. Inutile dire che mi sono sbagliato; ma, a ben vedere, da qualche parte dentro di me sapevo che la mia era una pia illusione già prima che il giovane Wiggins (e chissà che Holmes non stia preparando per me lo stesso destino che aveva preparato per suo padre) venisse a bussare alla mia porta, per dirmi che “il signor Holmes” avrebbe desiderato “il mio impareggiabile aiuto per un nuovo caso”.

Ah, quale sfacciataggine! Il mio aiuto! Ma io ricordo, quando arrivai a Londra, che investigatore di prima qualità era il signor Sherlock Holmes, impegnato a rincorrere le gonnelle delle signore della buona società per consegnare ai loro mariti le prove di qualche innocua infedeltà… che cosa avrebbe fatto, se non avessi preso la fatale decisione di trasferirmi al 221B? In che modo sarebbe venuto a capo della vicenda dello “studio in rosso”, se io non gli avessi fatto notare che… ah, ma che sforzo inutile sarebbe cercare di convincere qualcuno che io, il dottor John Henry Watson, ho risolto quel caso! Che sforzo inutile sarebbe cercare di convincere qualcuno che tutti i casi del geniale Sherlock Holmes… ma è colpa mia, non è vero? L’ho già detto e lo ripeto. Non sono stato io a raccontare al mondo le imprese dell’ineffabile Sherlock Holmes? Non sono stato io a dar credito a lui dei misteri che venivano districati solo grazie a me?

Faceva anche questo parte dell’accordo, ovviamente: a Holmes non poteva bastare che lo rendessi ricco, bisognava anche che lo rendessi famoso; anche se ciò significava fare sempre, su quei maledetti “resoconti” inviati allo Strand, la parte dell’idiota. E da parte mia, cosa ci si attendeva che facessi? Stupidi errori di gioventù! Credevo di sapere cosa facevo, quando pieno di baldanza (e di un sinistro desiderio di morte) partivo per l’Afghanistan insieme al mio reggimento. Sapevo cosa mi chiedevano? Sì, di uccidere e di rischiare di essere ucciso. Sapevo cosa significava? No. È così criminale aver avuto paura? È così criminale aver rinunciato ad aggiungere un nuovo pezzetto al crudele impero della regina Vittoria? Probabilmente sono ed ero il solo a non crederlo, se è vero com’è vero che di tutti i miei compagni io sono il solo che ha cercato di sfuggire a quell’immane carneficina, io sono il solo che ha cercato di fuggire. E credevo che di quella debolezza, di quella provvidenziale debolezza, non mi sarebbe rimasto altro se non quella ferita sulla schiena, a testimonianza che ero stato colpito mentre davo le spalle al nemico.

A tutt’oggi ignoro come Holmes sia venuto a sapere di questo mio segreto, che ancora basterebbe a farmi finire di fronte ad una corte marziale e, forse, alla forca. Questo mio segreto che ha utilizzato per tenere in mano la mia esistenza.

Ma ho deciso: mi basta così. Tra poco mi alzerò ed andrò al St. Thomas, dove lascerò questo libro; poi mi recherò all’appuntamento con lui ai Dock di Wapping (non riesco più neppure a varcare la porta di Baker Street). Gli dirò che non mi interessa più: tanto, ucciso da lui, o ucciso dalla giustizia (ah, mi viene da ridere!) di Sua Maestà, qual è la differenza? Almeno potrò starmene in pace, qui allo Streatham…

Ma basta adesso, è ora di andare. Forse avrei dovuto mettere questo messaggio in codice, oltre a scriverlo in inchiostro invisibile? Non importa. Se vorrò, lo farò dopo… ah, come se credessi che ci sarà, un dopo!

(continua…)


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