47 College Square, Stokesley – North Yorkshire
Due settimane fa vi avevo salutato con la promessa di dare la mia soluzione al mistero dello scrapbook vittoriano che possiedo da qualche anno.
Per giocare a carte scoperte avevo fornito ai lettori tutti gli indizi in mio possesso e avevo suggerito gli strumenti che avrei utilizzato io stesso: internet, Google Maps, un sito di ricerche genealogiche, il sempre utilissimo British Newspaper Archive e un’app per riconoscere la piante!
Negli ultimi dieci giorni, quindi, ho sfruttato ogni ritaglio di tempo per immergermi nel passato, per scoprire fatti ed episodi vecchi più di un secolo e riemergere ogni tanto nel 2023. Ogni volta che mi rituffavo nelle ricerche avevo la sensazione di compiere un’esplorazione di un fondale marino: in mezzo ad acque torbide e scure, mi imbattevo in persone e circostanze dai contorni inizialmente sbiaditi, che man mano diventavano familiari. I tratti erano sempre più nitidi, le date combaciavano, i luoghi tornavano. E il fascino di tutta questa indagine era sempre più travolgente.
E’ nata una storia che ho deciso di riportare sotto forma di racconto, prendendomi la libertà di romanzare la biografia del/della protagonista. Le date, i luoghi, gli eventi sono certi. Le sfumature e gli orpelli sono frutto della mia immaginazione.
Harrogate, North Yorkshire. Marzo 1937.
L’Harlow Manor Hotel era in quegli anni uno dei migliori alberghi di Harrogate, rinomata località termale le cui acque dai poteri curativi attraggono ancora ogni anno una gran quantità di persone da tutta l’Inghilterra.
Nel 1937 le giornate degli ospiti degli hotel erano ricche di attività: si facevano i trattamenti, si usciva per fare compere, si partecipava alle escursioni e ai balli organizzati dagli alberghi della cittadina. Si mangiava in modo sano, ovviamente, e ci si riposava.
L’Harlow Manor Hotel aveva aperto i battenti nel 1893, dopo essere stato per un ventennio la ricca dimora dell’architetto John Milling, che l’aveva fatta costruire e che era morto improvvisamente durante un viaggio di lavoro.
Il nome completo della struttura era Harlow Manor Hydro, dove Hydro è un’abbreviazione di Hydropatic. Qui si seguivano scrupolosamente le tesi di Vincent Priessnitz, uno dei padri dell’idroterapia che aveva teorizzato in particolare l’utilizzo dell’acqua fredda per curare varie malattie. Il fatto che l’albergo sorgesse in Cold Bath Road non lascia spazio a dubbi in merito alla temperatura delle acque.
Nel Marzo del 1937, tra gli ospiti dell’Harlow Manor Hotel, c’era una donna di 67 anni che aveva spostato qui la residenza dopo essere rimasta vedova. Si chiamava Ethel Maude Jones.
Alla signora Jones le teorie di Priessnitz non avevano portato benefici particolari, anzi. La donna, infatti, venne trovata morta nella sua camera la mattina di venerdì 12 Marzo.
Il testamento venne aperto meno di due mesi dopo, il 3 Maggio: la donna lasciava 527 sterline, 2 scellini e 2 pence al figlio Arthur Knowles Howard Jones, proprietario di un cinema. Circa 46.000 sterline adi oggi.
Ethel Maude Jones viveva in albergo dopo la morte del marito Arthur, avvenuta quattro anni prima. Avevano sempre abitato a Stokesley, un villaggio di meno di cinquemila anime a una quarantina di miglia di distanza. Lui era il medico del paese e, in tale veste, occupava un villino in College Square, chiamato The Hollies, a due passi dalla High Street.
Il quotidiano che annunciò la sua scomparsa, il 23 Febbraio del 1933, all’età di 74 anni, lo definiva “l’adorato marito di Ethel Maude Jones”.
Non è dato sapere se il sentimento fosse reciproco ma l’apertura del testamento pochi mesi dopo rivelò che tutto il patrimonio (671.000 sterline di oggi) sarebbe andato ai due figli: Arthur Howard Knowles, mercante di frutta, e Maurice Howard, medico come il padre.
A quanto pare, nemmeno un penny fu lasciato alla consorte, che oltre tutto dovette abbandonare The Hollies per l’arrivo di un nuovo inquilino, il medico del villaggio che avrebbe sostituito il marito defunto.
Ethel Maude Hindson e Arthur Jones si erano uniti in matrimonio 39 anni prima, il 13 Febbraio del 1894, nella chiesa parrocchiale di Stokesley.
Un anno dopo era arrivato il primogenito, Arthur Howard, e quattro anni più tardi il secondo figlio, Maurice Howard. Tutto secondo i canoni, dunque.
Nella primavera del 1911 un esercito di 36.000 persone fu accuratamente schierato su tutto il territorio di Inghilterra e Galles. Il loro compito non era quello di attaccare o difendere il Paese da un’invasione straniera: si trattava infatti dei rilevatori incaricati da Sua Maestà di effettuare il censimento della popolazione.
Distribuirono casa per casa una scheda da compilare, che insieme a milioni di altre schede avrebbe fotografato il Paese alla mezzanotte del 2 Aprile 1911. Questi erano i dati richiesti per ogni individuo:
- Nome e cognome
- Relazione con il capofamiglia
- Età
- Situazione matrimoniale
- Numero di anni di matrimonio (soltanto per le donne sposate)
- Figli nati dal matrimonio (soltanto per le donne sposate)
- Occupazione
- Luogo di nascita
- Nazionalità
- Eventuali infermità
La scheda compilata meticolosamente da Arthur Jones mostrava una famiglia composta da marito e moglie, da una cuoca e da una domestica. Entrambi i figli della coppia vivevano già lontano da casa, allievi della prestigiosa Durham School, collegio privato fondato nel 1414. Il maggiore aveva sedici anni, il più piccolo dodici.
Fu il dottor Jones a compilare tutte le voci della scheda e firmarla.
Arthur lavorava a casa, tutti i giorni riceveva i pazienti nell’ambulatorio al piano terra. Terminato il lavoro, si dedicava alla sua grande passione: l’enigmistica.
Era dotato di un certo talento, tanto che ebbe addirittura l’onore di vedere pubblicato un suo acrostico nel numero del 3 Agosto 1910 del Bystander.
“Sostiene i tuoi sensi, elimina ricordi sgradevoli, scoraggianti e snervanti.”
L’altro suo passatempo erano le lotterie, comprava biglietti ogni volta che capitava l’occasione. Nel Novembre del 1931 la fortuna bussò alla sua porta: vinse uno dei premi dell’Irish Sweepstake, una lotteria che in quel periodo andava forte.
A parte queste innocenti passioni, il dottor Jones era un uomo decisamente noioso. Lavorava molto, leggeva riviste di medicina per tenersi aggiornato, ogni tanto scriveva una lettera ai figli.
La mattina del 3 Aprile, come ogni giorno, i coniugi Jones stavano facendo colazione. Gladys, la cameriera, servì il tè e tornò in cucina dopo un timido inchino.
“Questa mattina passerà il rilevatore del censimento.” disse Arthur alla moglie interrompendo per un attimo la lettura dello Yorkshire Post “La busta con la scheda che ho compilato è nel salotto, sulla mensola del camino.”
Dopo queste parole diede un’ultima scorsa al giornale, pulì la bocca con il tovagliolo e si alzò da tavola, diretto verso l’ambulatorio. Iniziava una lunga giornata di visite.
Ethel rimase seduta per qualche minuto. A differenza del marito, per lei cominciava invece l’ennesima giornata di noia. I figli lontani da casa, nessuno da incontrare, confinata nel piccolo villaggio dov’era nata e cresciuta.
Si alzò, giunse in salotto e prese la busta dalla mensola del camino. Era stata sigillata ma, dopo aver controllato di non essere vista, prese il tagliacarte e l’aprì.
La calligrafia pulita e regolare di Arthur rendeva, se possibile, ancor più impietosa la situazione. La riga di Ethel Maude Jones era desolatamente semivuota: 38 anni di età, moglie del capofamiglia, due figli, luogo di nascita. Nient’altro. Il marito figurava invece come medico e chirurgo, libero professionista, capofamiglia. Addirittura la cuoca e la domestica avevano una qualifica, sia pure umile.
Ethel sprofondò nella poltrona, con lo sguardo perso nel vuoto. Aveva appena aperto uno squarcio sugli anni a venire, che avrebbe vissuto in compagnia di un uomo sempre più introverso ed esclusivamente dedito ai propri passatempi. I figli, ancora piccoli ma lontani da casa già da anni, avrebbero presto fatto famiglia e magari si sarebbero trasferiti altrove.
Era questa la vita che aveva desiderato un tempo, quando era giovane?
Improvvisamente, scattò in piedi e si diresse verso lo scantinato. Scese la vecchia scala di legno e premette l’interruttore della luce. Il baule era in fondo alla stanza, quasi nascosto da una montagna di oggetti: giocattoli dei figli, vecchi utensili per la cucina, scatole colme dei libri di medicina di Arthur.
Riuscì ad estrarlo con molta fatica e lo spinse al centro della stanza, sotto la lampadina penzolante. Aprì il baule coperto di polvere, con una sensazione di peso alla bocca dello stomaco. Era rimasto chiuso per una quindicina d’anni almeno, da quando si era trasferita a The Hollies subito dopo il matrimonio. La grande cassa di legno aveva contenuto il suo corredo di nozze e, dato che era capiente, era avanzato lo spazio per qualche altro oggetto.
Ethel aveva portato con sé dalla casa paterna un paio di bambole, i libri a cui era maggiormente legata e un piccolo quaderno all’apparenza insignificante. Era proprio questo che era venuto a cercare.
Soffiò via la polvere dalla copertina, richiuse il baule, lo spinse in fondo alla stanza e tornò in salotto. Appena si sedette in poltrona e aprì il quaderno, una lacrima scese lungo la guancia e bagnò l’angolo di una pagina. Passò il resto della mattinata a sfogliarlo e a soffocare i singhiozzi ogni volta che Gladys le passava accanto mentre spolverava i mobili del soggiorno.
La mattina seguente, terminata la colazione, Arthur salutò a si diresse verso l’ambulatorio. Ethel, invece, uscì di casa. Disse alla domestica che era diretta al mercato e che sarebbe rientrata per pranzo. Gladys, una ragazzotta sveglia di 19 anni, la osservò incamminarsi verso il centro del villaggio e si insospettì un po’ vedendo che portava con sé una piccola valigia.
La notte precedente Ethel aveva deciso di partire per Londra. Il marito aveva russato profondamente per tutto il tempo e lei non aveva praticamente chiuso occhio.
Arrivò alla stazione di Stokesley intorno alle 10, comprò un biglietto per Middlesbrough e da lì prese il primo treno per York. Nel primo pomeriggio il maestoso Flying Scotsman della Great Northern Railway proveniente da Edinburgo e diretto a Londra entrò in stazione e accolse a bordo la signora Jones.
Il viaggio durò poco meno di cinque ore e terminò a King’s Cross. Ethel Maude Jones diede all’autista del taxi l’indirizzo di un albergo che aveva segnato nel suo taccuino e si accomodò sul sedile posteriore. Non aveva rimesso piede a Londra dall’estate del 1886, l’estate dei suoi sedici anni. Fuori dal finestrino la città che scorreva davanti ai suoi occhi era molto diversa da quella che ricordava.
Passò la notte in un hotel di Bayswater e la mattina seguente, senza aver bisogno di mappe o di indicazioni, raggiunse Princes Square. Questo angolo di città, a parte qualche dettaglio, era rimasto immutato.
Il giardino al centro della piazza e tutte le case che la circondavano erano state costruite tra il 1856 e il 1864 da un tale George Wyatt, audace impresario edile vittoriano. L’adiacente Leinster Square era nata dalle stesse mani, negli stessi anni.
Tutti gli edifici erano pressoché identici tra loro: un piano interrato chiuso da robuste cancellate in ferro, altri quattro piani, portici con solide colonne doriche, finestre a ghigliottina, stucchi sulle facciate e tetti in ardesia.
Ethel si fermò davanti al numero 10. C’era la modesta insegna di un piccolo hotel. Salì pochi gradini di pietra e varcò la soglia. La reception era deserta ma, al suono del campanello, comparve subito un uomo di mezza età che si era nascosto nella stanzetta accanto per consumare la prima colazione. Scacciò qualche briciola dalla giaccia con il dorso della mano, aggiustò il pince-nez e, consultato il registro, assegnò alla signora Jones l’unica stanza disponibile, la numero 6 al terzo piano.
Ethel raggiunse la camera, chiuse la porta a chiave e si sdraiò sul letto, dopo aver tolto dalla valigia il quaderno. Cominciò a sfogliarlo e si ritrovò improvvisamente nel 1886, a sedici anni.
Era giunta a Londra da Stokesley, per frequentare alcuni mesi presso la scuola diretta da Miss Philpott, al numero 10 di Princes Square. Una scuola per sole ragazze, com’era la norma a quei tempi.
Suo padre, George Hindson, mercante di fieno, non era ricco ma sufficientemente benestante per poter permettere a Ethel, la secondogenita, di frequentare per un anno una scuola privata e migliorare la propria educazione.
La scelta cadde sull’istituto diretto da Miss Philpott, che si era da poco trasferita a Londra dal Galles, dove insieme alla sorella aveva amministrato con successo per anni il rinomato Hill House College di Haverfordwest.
A Londra aveva costruito uno staff efficiente, composto da insegnanti inglesi e da altri provenienti dall’estero.
Per Ethel Maude Hindson, che fino ad allora aveva visto Stokesley e poco altro, vivere a Londra per qualche mese fu un’esperienza indimenticabile. Un’esperienza così irripetibile che decise di immortalarla con uno strumento che nell’Inghilterra vittoriana andava di moda: lo scrapbook. Prese un quaderno destinato ai compiti di scuola, sul quale aveva già messo la sua firma su ogni pagina, e lo riempì giorno dopo giorno con tutto ciò che le capitava a tiro: foglie e fiori raccolti durante una passeggiata o regalate da una compagna di classe, frammenti di giornale o di biglietti da visita.
Appiccicò un pezzo di carta assorbente, un frammento di pelle strappato da una sedia della sala da pranzo, alcuni fili del tappeto rosso che ricopriva il pianerottolo dell’ultimo piano.
Gli avanzi di una caramella, un sassolino dal fondale della Serpentine, il laghetto artificiale che divide i Kensington Gardens da Hyde Park.
L’espressione che ritornava più spesso nelle didascalie di Ethel era “in remembrance of”. Ogni oggetto era legato ad un ricordo, come le foglie colte durante una visita della madre e della sorella Muriel, nelle vacanze di Pasqua del 1886.
C’erano i nomi e i cognomi delle sue compagne: Dollie Seward, May Woodhouse, Gracie Carver, Annie Lee Warner. Aveva perso i contatti con tutte loro, quanto avrebbe voluto rivederle!
Ethel passò l’intera giornata nella stanza del piccolo albergo che un tempo aveva ospitato la scuola, in compagnia dei ricordi. Pianse molto, ripensando alle speranze di un tempo. Avrebbe voluto insegnare e diventare brava come mademoiselle Elvire Van Isterdaal, a cui aveva chiesto un autografo per poterlo archiviare nello scrapbook insieme al resto.
Purtroppo aveva dovuto lasciare la scuola improvvisamente, dopo l’estate: Il padre si era ammalato e a casa c’era bisogno del suo aiuto. Era tornata a Stokesley, aveva interrotto per sempre gli studi e, anni dopo, aveva accettato la proposta di matrimonio di quello che tutti consideravano un buon partito: Arthur Jones, il medico del villaggio. Non lo amava ma lui le avrebbe garantito la serenità economica. Non sarebbe mai diventata un’insegnante.
Ethel asciugò le ultime lacrime, richiuse il quaderno e lo poggiò sul comodino. Andò alla finestra e guardò i tetti di Londra, dietro i quali stava tramontando il sole. Fece un lungo respiro.
La sera inviò un laconico telegramma al marito. “Tutto bene. Rientro Stokesley giovedì sera. Stop.”
E così accadde.
Ethel tornò a casa il giorno seguente e non disse mai al marito dov’era stata in quei tre giorni di assenza. Ripose il quaderno nel baule in cantina e non lo aprì mai più. Quando dovette lasciare la casa dopo la morte di Arthur per trasferirsi a Harrogate, dove vivevano entrambi i figli, portò con sé soltanto un paio di valigie con i propri abiti e poco altro.
Si disinteressò del resto, che fu venduto o distrutto. Il vecchio baule rimase nella cantina di Stokesley, ignorato dai vari abitanti della casa che si susseguirono nei decenni successivi. Fu infine acquistato per poche sterline da un rigattiere e qualche tempo dopo il quaderno di Ethel Maude Hindson fece la sua comparsa in una bancarella, dove fu acquistato da un blogger con la passione per Londra e per le vecchie storie.
Voglio esprimere la mia gratitudine alla sorella della protagonista, Muriel Hindson, che potrei definire la mia “stele di Rosetta”. Soltanto grazie a lei e al suo nome di battesimo, consultando un sito di ricerche genealogiche e incrociando nomi e date, mi è stato possibile risalire con certezza all’identità dell’autrice dello scrapbook, che altrimenti sarebbe rimasta sconosciuta per sempre.
Ethel Maude Hindson, coniugata Jones, non scappò di casa il 4 Aprile del 1911. Restò accanto ad Arthur fino all’ultimo giorno e probabilmente il loro fu un matrimonio felice. Spero che mi perdonerà, ovunque si trovi, se mi sono preso qualche libertà nel raccontare la sua vita.
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