Balmoral Castle – Aberdeenshire, Scozia
“Her Majesty is a pretty nice girl
But she doesn’t have a lot to say
Her Majesty is a pretty nice girl
But she changes from day to day
I wanna tell her that I love her a lot
But I gotta get a belly full of wine
Her Majesty is a pretty nice girl
Someday I’m gonna make her mine, oh yeah
Someday I’m gonna make her mine”
Giovedì 8 Settembre a Vicenza era la “Festa dei Oto”, la festa patronale. Mentre molti vicentini devoti passavano sotto casa mia diretti all’Arco delle Scalette, pronti a salire i 190 gradini che portano al santuario della Madonna di Monte Berico, ho approfittato del day off per fare un po’ di lavoretti in casa, tutte cose posticipate nei mesi scorsi per colpa del caldo eccessivo.
Ed è stato così che, nel primo pomeriggio, mentre finivo di montare uno scaffale Ikea, ho scoperto per caso che la Regina Elisabetta era in fin di vita. Dopo il primo stupore, ho cominciato a seguire con sempre maggiore apprensione le notizie che arrivavano da Balmoral, fino al triste epilogo che tutti conosciamo.
Negli scorsi giorni avevo letto che la Regina non era in gran salute ma i giornali parlavano di mobility issues e del fatto che i medici le consigliavano di prolungare il soggiorno estivo in Scozia. Il fatto che soltanto due giorni prima Elisabetta avesse ricevuto Liz Truss e Le avesse conferito l’incarico di quindicesimo (!) Primo Ministro del suo regno mi aveva tranquillizzato. E invece…
“Ma che se more così?”, si domanda sconsolato Mimmo/Carlo Verdone nella scena finale di “Bianco Rosso e Verdone”, quando nonna Teresa/Sora Lella muore in silenzio all’interno della cabina elettorale.
Mi perdonerete se ho accostato la Regina Elisabetta alla Sora Lella ma, quando è stata ufficializzata la notizia della morte, con quel cartello affisso ai cancelli di Buckingham Palace, mi sono sentito spaesato, come l’incredulo Mimmo. “Ma che se more così?”…
La sera, mentre i telegiornali mandavano in onda i primi coccodrilli e le immancabili interviste agli esperti di faccende reali, mentre l’intero pianeta era connesso e diceva la sua, nella mia testa ha fatto capolino all’improvviso un motivetto conosciuto.
Con i suoi 23 secondi di durata è la canzone più corta mai incisa dai Beatles, si intitola “Her Majesty” ed è considerata il primo esempio di ghost track nella storia della musica.
Compare all’improvviso alla fine di Abbey Road, l’ultimo album della band, dopo quattordici secondi dall’ultimo accordo di “The End”.
“Her Majesty” è tutta farina del sacco di Paul McCartney, incisa in pochi minuti il 2 Luglio del 1969, prima di affrontare la ben più complessa “Golden Slumbers/Carry That Weight”.
In origine avrebbe dovuto comparire all’interno del meravigioso medley che chiude l’album, inserita tra “Mean Mr. Mustard” e “Polythene Pam”. Paul non fu soddisfatto del risultato e diede ordine di distruggere il nastro.
La politica aziendale della EMI prevedeva però che nessuna registrazione dei Beatles fosse gettata via, motivo per cui gli archivi della band ci regalano ancor oggi qualche perla inestimabile.
John Kurlander, giovane tape operator durante le sessioni di Abbey Road, tagliò i 23 secondi di “Her Majesty” e li spostò per gioco al termine del disco. La cosa piacque a Paul, che la approvò convinto. Non si fece in tempo a correggere la copertina del vinile, che era ormai andata in stampa senza citare la presenza del brano: ecco perché è considerata una traccia fantasma.
Ho sempre amato il modo in cui questa canzone affiora nel disco. Arriva all’improvviso, come a dire che sì, abbiamo appena ascoltato “The End”, la pietra tombale sui Beatles, ma che in realtà non è davvero la fine, la musica in qualche modo continuerà.
Sapere che “Her Majesty” era stata pensata come un piccolo intermezzo tra due brani firmati da John spiega il perché di quell’accordo iniziale così privo di senso e anche il taglio netto che tronca il pezzo: l’accordo rumoroso è quello che chiude “Mean Mr. Mustard” (un uomo che viene accompagnato dalla sorella Pam ad ammirare la Regina) e il silenzio finale serve all’aggancio con “Polythene Pam”.
Tra i miei vinili ce n’è uno molto prezioso, regalo di Silvia: l’edizione super deluxe di Abbey Road, uscita in occasione dei 50 anni dell’album. Uno dei dischi contiene la cosiddetta “The Long One”, un remix opera del figlio di George Martin, che ha rimesso a posto le cose, inserendo “Her Majesty” dove Paul l’aveva pensata inizialmente.
La canzone è un’irriverente ed affettuosa dichiarazione d’amore per una Regina di 43 anni, che nel 1969 era sul trono già da 17.
Sua Maestà è una ragazza molto carina
Ma non ha molto da dire
Sua Maestà è una ragazza molto carina
Ma cambia da un giorno all’altro
Voglio dirle che la amo molto
Ma devo bermi parecchio vino
Sua Maestà è una ragazza molto carina
Un giorno o l’altro la farò mia
Oh, sì, un giorno o l’altro la farò mia
Da allora sono passati 53 anni, Paul non si è mai fidanzato con Elisabetta ma il 3 Giugno del 2002, in occasione del Golden Jubilee, ha avuto il coraggio di cantare la canzone davanti alla sovrana, sul prato di Buckingham Palace.
Elisabetta se n’è andata giovedì pomeriggio, lasciandoci tutti stupiti nonostante i suoi 96 anni. Se n’è andata con un finale inatteso e brusco, come quello di “Her Majesty”.
Al termine di settanta incredibili anni di regno rimane uno strano silenzio, come il leggero fruscìo della puntina sugli ultimi solchi del vinile.
Ora è veramente “The End”. Riposa in pace, Elisabetta.
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