8 Mortimer Street – Tube: Goodge Street
Tutto iniziò con una scoperta fatta da un chimico francese.
Fino all’inizio del 1800, in Europa, il materiale principale utilizzato per la fabbricazione delle candele era il sego, una sostanza animale che l’Enciclopedia Treccani descrive così:
“Grasso che riveste le regioni sottocutanee addominali e diversi organi interni (reni, stomaco, intestino) del bue. In senso più ampio, il grasso dei bovini, ma anche degli equini e ovini, costituito in massima parte da gliceridi degli acidi oleico, palmitico e stearico, che, separato dai residui di carne e dalle membrane per fusione in caldaia o autoclave, viene posto in commercio in forma di masse solide, di colore dal bianco al giallo, insipide e inodori, che all’aria irrancidiscono facilmente acquistando odore e sapore sgradevoli; usato in passato per la fabbricazione di alcuni tipi di margarina e di candele, si utilizza oggi per la produzione di saponi e per la preparazione della glicerina e di acidi grassi.”
Le candele di sego avevano due grossi inconvenienti: l’odore insopportabile che appestava l’ambiente durante il processo di produzione e l’altrettanto sgradevole tanfo che emanavano durante il loro utilizzo.
Un’alternativa esisteva: la cera d’api, che però aveva un costo di produzione elevato e restava prerogativa dei benestanti, delle chiese e della famiglia reale.
A Londra esiste tutt’oggi la Tallow Chandlers’ Company (Compagnia dei Candelai di Sego), fondata intorno al 1300 e a cui fu concessa la livrea nel 1456. A farle concorrenza da secoli c’è la Worshipful Company of Wax Chandlers (Venerabile Compagnia dei Candelai di Cera), risalente al 1330 e con un suo stemma dal 1484.
Nel 1700 si scoprirono inoltre le proprietà dello spermaceti, un olio ricavato dalla testa del capodoglio, che permetteva di produrre candele meno maleodoranti e dalla luce più intensa.
Ma, come dicevo, la svolta arrivò nel 1825 con il brevetto della stearina ad opera di un chimico francese, Michel-Eugène Chevreul.
Come il sego, anche la stearina derivava dagli animali ma non conteneva glicerina. Le candele di Monsieur Chevreul avevano un punto di fusione più elevato e bruciavano meglio di quelle di sego, senza gocciolare ed emettendo una luce più chiara. Ma soprattutto, non contenendo glicerina, non avevano l’odore nauseabondo delle candele di sego.
Rispetto a quelle di cera, però, c’era un piccolo difetto: la stearina era più fragile e meno lucida e pertanto i fabbricanti parigini aggiunsero negli stampi un “ingrediente segreto”. Fu questa la ricetta che arrivò poco tempo dopo a Londra.
Per un paio d’anni la stearina illuminò le case della città, fino a quando, una sera di Giugno del 1837, Thomas Everitt decise di ritirarsi per la notte.
Spense con un soffio la candela del suo studio e avvertì un fortissimo tanfo di aglio. Everitt, trentaduenne insegnante di chimica al Middlesex Hospital, non ci mise molto a riconoscere il caratteristico odore dell’arsenico riscaldato.
La mattina successiva portò la candela in laboratorio e scoprì che nel fumo che si sprigionava da essa c’erano in effetti inconfutabili tracce del veleno!
Bisogna sapere che arsenico e Inghilterra vittoriana sono due argomenti che vanno a braccetto. All’inizio del secolo questo sottoprodotto dell’industria siderurgica era stato utilizzato come economico veleno per topi: privo di odore o sapore, poteva essere facilmente scambiato per farina o zucchero. Dai topi si passò agli esseri umani: le morbose descrizioni di omicidi domestici sui quotidiani cominciarono a terrorizzare i lettori più impressionabili.
La ricerca del profitto, però, fece sì che molte aziende cominciarono ad utilizzare l’arsenico per produrre beni di consumo, nonostante i rischi per la salute: coloranti per tessuti, carte da parati, medicine per l’asma o il cancro e per curare i difetti della pelle. Nel 1809 la famigerata Fowler’s Solution, un miscuglio di arsenico di potassio e lavanda, venne accettata nella London Pharmacopoeia e considerata un validissimo tonico. Per più di un secolo la medicina ignorò i suoi gravissimi effetti collaterali, a breve e lungo termine: tumori della pelle e della vescica, cirrosi epatica e ipertensione.
L’arsenico, quindi, era tollerato e diffuso. Anche per fabbricare candele, evidentemente.
L’arsenico (era questo l’ingrediente segreto aggiunto dai produttori francesi) aveva il pregio di far apparire le candele in tutto e per tutto simili a quelle di cera, con un costo di produzione enormemente inferiore.
Il 28 Giugno il professor Everitt tenne una conferenza di fronte ai colleghi della Medico-Botanical Society di cui era membro, denunciando quanto aveva scoperto: quasi tutte le marche di candele che aveva reperito sul mercato contenevano preoccupanti tracce di arsenico.
Il caso passò alla Westminster Medical Society che istituì una commissione d’inchiesta a cui prese parte anche Everitt. Gli scienziati si incontrarono nel mese di Novembre nei laboratori del Middlesex Hospital di Mortimer Street (demolito nel 2008 e trasformato in appartamenti e uffici, del complesso resta in piedi soltanto la splendida Fitzrovia Chapel).
La commissione si dedicò agli esperimenti sugli animali. Prima toccò agli uccelli. Fu procurato un certo numero di verdoni e fanelli, metà dei quali entrò in una scatola dotata di fori per la ventilazione sulla base e sul soffitto, con una parete trasparente per permettere agli scienziati di vedere all’interno. La scena era rischiarata da candele alla stearina. L’altra metà degli uccelli fu messa in una scatola identica, posta però in una stanza separata, illuminata da candele di spermaceti.
Dopo appena quattro ore, il primo fanello cominciò ad accusare i primi problemi. Lui e i compagni cominciarono a bere acqua quattro volte più del normale, persero l’appetito e rimasero vittime di una diarrea color verde. Il fanello morì il giorno seguente, subito seguito da altri compagni. Nell’altra stanza gli uccelli rischiarati dalle candele di spermaceti erano in ottima salute.
Si passò poi ai porcellini d’India e ai conigli. Nessun decesso ma parecchi disturbi. Anche l’incaricato dell’esperimento, alla fine della giornata, accusò una dolorosa irritazione agli occhi che passò soltanto alla fine dei test.
La Westminster Medical Society scrisse un rapporto molto dettagliato. Tra le altre cose si legge il seguente passaggio:
“Cosa succederebbe se il Theatre Royal Drury Lane fosse illuminato grazie alla stearina? Ogni candelabro contiene 152 ceri… una grande quantità di acido arsenioso sarebbe vaporizzata e aleggerebbe nell’aria durante lo spettacolo. C’è qualcuno disposto a negare la pericolosità di tutto ciò?”
Le candele all’arsenico furono vietate dall’anno seguente e sparirono dalla circolazione. I produttori, da quel momento in poi, fecero in modo di sottolineare la totale assenza dell’elemento tossico.
Incredibilmente, il fantasma del veleno ritornò alla ribalta nel 1859, quando si scoprì che era in commercio una candela di cera di color verde che conteneva tracce di arsenico.
In quegli anni l’Inghilterra era in preda a una follia collettiva per il famigerato Verde di Scheele, un pigmento contenente arsenico utilizzato in molti campi: la colorazione dei tessuti e della carta, la pittura, addirittura i giochi per bambini.
E le candele, colorate di verde perché così dettava la moda.
La gente cambiava la carta da parati del soggiorno e moriva a pochi giorni di distanza, i bambini che giocavano nelle loro stanze cominciavano a vomitare e le signore vestite di verde svenivano nel bel mezzo di un ricevimento.
Si dice che la morte di Napoleone a Sant’Elena possa essere collegata ad un’esposizione prolungata all’arsenico: la sostanza fu ritrovata in notevole quantità nei suoi capelli. I muri della stanza da letto in cui morì erano rivestiti da una carta da parati di un color verde brillante, il suo preferito.
Ma dimentichiamoci di Napoleone e torniamo al giovane professor Everitt.
L’anno seguente alla sua fortuita scoperta, il primo giorno di Agosto del 1838, si sposò con Mary Ann Bicknell e si trasferì a Bloomsbury, al numero 6 di Torrington Square. Tutto sembrava procedere per il meglio: la nascita di due bambini, la carriera di ricercatore e di insegnante, l’attività nella Chemical Society of London di cui fu uno dei fondatori.
Poi, all’improvviso, sopraggiunse una malattia non meglio descritta dalle cronache, per la quale fu ricoverato nel manicomio per pazienti facoltosi di Lady Ellis, a Southall Park.
Fu in quel luogo che Thomas Everitt morì il 26 Luglio del 1845, poche settimane prima del quarantesimo compleanno.
Era affetto da una grave paralisi e gli erano state prescritte delle abluzioni in acqua calda. Un malfunzionamento della caldaia provocò un prolungato getto di acqua bollente, che investì il poveretto e lo ustionò fino a causarne la morte.
Pochi mesi prima, le apparecchiature del suo laboratorio, gli appunti e i suoi libri erano stati venduti all’asta dalla moglie.
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