Johnson’s Place – Tube: Pimlico
Well you’ve cracked the sky, scrapers fill the air
But will you keep on building higher
‘Til there’s no more room up there?
Will you make us laugh, will you make us cry?
Will you tell us when to live, will you tell us when to die?I know we’ve come a long way
We’re changing day to day
But tell me, where do the children play?
Così cantava Cat Stevens nel 1970, nel pezzo che apriva “Tea for the Tillerman”.
“Where do the children play?”
E bene sapere che i bimbi della Londra di 50 anni fa giocavano in luoghi che oggi sarebbero impensabili. L’ho scoperto per caso qualche tempo fa, quando mi è capitata sotto gli occhi la fotografia che apre questo post.
La didascalia dice che è stata scattata nel 1978 all’interno di un complesso di edilizia popolare, nel quartiere di Pimlico: Churchill Gardens.
Ala fine della seconda guerra mondiale questa zona era ridotta in macerie, le bombe tedesche avevano distrutto intere strade composte da case a schiera di epoca vittoriana.
Il Piano Abercrombie, redatto già negli ultimi anni del conflitto, immaginava interventi strutturali per Londra: la soluzione ai problemi del traffico, l’espansione dei confini della città, la demolizione di edifici vecchi e malsani e la creazione di nuovi quartieri.
Churchill Gardens è forse l’unico progetto di edilizia popolare di quel periodo a non aver deluso completamente le aspettative. A differenza di altri esperimenti poco felici (Brownfield Estate a Poplar, per fare un esempio), i due giovani architetti che si aggiudicarono il bando, Philip Powell e Hidalgo Moya, crearono un’opera che a distanza di tanti anni stupisce ancora chi la visita.
Il complesso occupa un’area enorme sulla sponda nord del Tamigi ed è costituito da ben 36 edifici di varie dimensioni e tipologie, per un totale di 1.661 abitazioni in cui vivono quasi 5.000 persone. I palazzi furono costruiti in un arco di tempo di 16 anni, dal 1946 al 1962, e forse proprio questa assenza di fretta permise di evitare gli errori (orrori, in alcuni casi!) commessi in altre grandi zone residenziali di questo tipo: trovarono posto una scuola, un circolo sociale, un paio di pub, parecchio verde pubblico. E spazio per i giochi dei bambini.
Una delle caratteristiche dei Churchill Gardens è il fatto che il riscaldamento proviene dall’imponente torre di vetro progettata da Powell e Moya.
Si tratta di un enorme accumulatore che, tramite una ragnatela di tubazioni, distribuisce capillarmente il calore e l’acqua calda necessari per tutte le abitazioni. Inizialmente, negli anni ’50, il calore era quello in eccesso prodotto dalla Battersea Power Station, che era ancora in funzione sulla sponda sud del fiume. Passava sotto il Tamigi in un tunnel sotterraneo e raggiungeva la torre di vetro. Sostenibilità ambientale ante litteram!
Per ammirare al meglio i Churchill Gardens, l’anno scorso, ho deciso di salire a piedi i nove piani di uno degli edifici più alti, la Blackstone House.
La vista da lassù non è niente male!
E poi c’è un meraviglioso scivolo per la spazzatura!
Non ho idea di come possa andare d’accordo con la raccolta differenziata ma ho sempre sognato di averne uno in casa.
Ma, a proposito di scivoli, sono stato maggiormente colpito da ciò che NON ho visto.
Infatti non ho purtroppo potuto ammirare dal vivo i due “parchi gioco brutalisti”, demoliti all’inizio degli anni ’80.
Torniamo alla domanda di Cat Stevens: “Where do the children play”?
La risposta è la seguente: un tempo i bambini di Londra giocavano in luoghi orribili e pericolosi ma proprio per questo, almeno per me, affascinanti. E degni di essere raccontati.
La corrente architettonica che furoreggiava in Inghilterra negli anni ’50 era il brutalismo, di cui ho già parlato tempo fa nel post dedicato alla Trellick Tower di Ernő Goldfinger. Cemento armato (spesso lasciato a vista), forme grezze e robuste, volumi imponenti.
Al termine della seconda guerra mondiale il Governo diede il via alla ricostruzione, incaricando la nuova generazione di architetti che aveva studiato la lezione di Le Corbusier e che aveva individuato la soluzione ai problemi abitativi nella costruzione di enormi condomini.
I progettisti si occuparono anche del contorno. In molti casi, purtroppo, la mancanza di fondi, la fretta di consegnare gli appartamenti, la negligenza della politica non consentirono ai residenti di sfruttare i servizi che gli architetti avevano immaginato: aree comuni, scuole, campi sportivi, negozi… tutte cose che rimasero sulla carta.
Con una eccezione: i parchi gioco per i bambini. Inevitabilmente progettati in stile brutalista!
Ho trovato alcune fotografie che meritano di essere viste. Ci sono scivoli di cemento…
… di metallo (ve li ricordate? Sotto il sole diventavano roventi!) …
… ci sono forme distopiche…
… e tunnel spaventosi, immersi in colate di cemento.
Il denominatore comune di tutte queste fotografie è che non c’è nemmeno un filo d’erba!
Nei Churchill Gardens c’erano un tempo due aree destinate ai giochi dei piccoli residenti. La prima era situata tra Ripley House e Anson House.
C’era una torre rivestita di mattoni, gradini e pareti di cemento e infine un vecchio rullo compressore, probabilmente parcheggiato lì alla fine dei lavori.
La seconda zona per i bambini era invece nel rettangolo compreso tra Gilbert House e Chippendale House. E’ il parco giochi della foto all’inizio del post.
La cosa più bizzarra è un disco di cemento inclinato, recintato da una balaustra di ferro e conficcato nel terreno. Sembra un oggetto proveniente dallo spazio che si è appena schiantato al suolo.
I bambini ci salivano sopra arrampicandosi su gradoni a forma di esagono.
Il motivo di questo orrore è presto detto. Gli architetti brutalisti volevano abituare i futuri adulti al nuovo linguaggio, li facevano incontrare fisicamente con gli stessi materiali di cui erano fatti i condomini in cui vivevano. Volevano che li sentissero con le proprie mani, che appoggiassero le ginocchia (magari sbucciandole) sullo stesso calcestruzzo bocciardato che rivestiva le loro case.
Nel 2020 la parola d’ordine è “Health and Safety”: le attrezzature dei parchi gioco sono di legno e di plastica e sono poggiate su pavimenti soffici a prova di caduta. Non ci si arrampica più su altissime piramidi di tubi di ferro. E i genitori sono sempre lì, pronti a redarguire e intervenire in caso di pericolo.
Il fascino dei parchi gioco brutalisti risiedeva invece nella loro funzione pedagogica: incoraggiare i bambini ad esplorare, a prendere dei rischi, a sfidare il pericolo.
Con il serio rischio di farsi male: incastrandosi in uno stretto tunnel di cemento, subendo un principio di ustione sugli scivoli arroventati, cadendo nel vuoto da altezze notevoli, subendo traumi cranici per colpa di infidi tubi di ferro, prendendosi il tetano su giostre arrugginite.
Guardando indietro, si può tranquillamente affermare che l’utopia brutalista ha fallito. Sulla carta le idee erano interessanti, i propositi erano senz’altro buoni ma a rovinare tutto fu la loro realizzazione pratica, frettolosa e scadente.
I parchi gioco dell’epoca sono stati ormai smantellati quasi tutti, non esistono più. E’ un vero peccato: alcuni di questi erano delle autentiche trappole mortali ma erano la testimonianza di una nazione che usciva dalla guerra e guardava al futuro con fiducia ed ottimismo.
Disgrazie permettendo!
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