Nostra Signora della Lamiera

12-16 Cambridge Avenue – Tube: Kilburn Park

Quando salì al trono la regina Vittoria, il 20 giugno del 1837, la popolazione di Londra ammontava a circa un milione e mezzo di anime. La sovrana si spense il 22 gennaio del 1901, dopo 63 anni, 7 mesi e due giorni di regno. La capitale, nel frattempo, aveva triplicato il numero dei suoi abitanti.

Questa esplosione demografica aveva portato più di un problema. Tra i tanti c’era quello dell’edilizia religiosa, ovvero la necessità di costruire chiese o cappelle adatte a contenere i fedeli: anglicani, cattolici, nonconformisti, metodisti… tutti avevano bisogno di un luogo sufficientemente spazioso per ritrovarsi e celebrare i propri riti.

Alla metà dell’Ottocento venne in soccorso la tecnologia. Cominciò a diffondersi in quegli anni, infatti, una nuova invenzione proveniente dagli Stati Uniti: la lamiera ondulata. Il nuovo materiale, inizialmente utilizzato per la copertura di alcuni edifici, permetteva di costruire in poco tempo intere strutture prefabbricate.

Un ulteriore progresso arrivò poco dopo: uno strato di zinco applicato ai fogli di metallo preveniva la corrosione da parte della pioggia e dell’umidità.

Così, in tutta l’Inghilterra e nell’intero territorio dell’Impero Britannico cominciarono a sorgere come funghi chiese, cappelle e missioni. Magari non erano esteticamente il massimo (nel 1890 William Morris, il fondatore del movimento Arts and Crafts, scrisse un pamphlet in cui deplorava “questi edifici che si stanno diffondendo per il Paese come una pestilenza”) ma erano molto economiche, semplici da montare e potevano essere spedite a distanza con facilità. Immaginate qualcosa di molto simile ai mobili IKEA di oggi: materiale leggero, imballaggio piatto e istruzioni molto chiare per il montaggio. Magari venivano fornite anche le brugole!

Fu così, ad esempio, che la Free Church of Scotland potè costruire un luogo per il proprio culto: una chiesa di ferro galleggiante sul Loch Sunart per aggirare il divieto di costruire un edificio sulla terraferma.

Oggi sopravvivono ancora alcune “chiese di lamiera”, sparse per tutto il Regno Unito, alcune di esse sono addirittura vincolate.

E anche Londra ha il suo “Tin Tabernacle”, in una laterale di Kilburn High Road.

Sono riuscito a fotografarla soltanto dall’esterno durante un soggiorno recente, e ho provato più volte a bussare alla porta, senza ricevere risposta.

Ma conosco un uomo che ci è riuscito e che mi ha raccontato tutto.

Riccardo Cepach (triestino purosangue e sodale burtoniano) si imbattè per sbaglio nel Kilburn Tin Tabernacle poco più di un anno fa, quando era in vacanza a Londra in compagnia di suo figlio. Alloggiavano nei paraggi e ogni mattina percorrevano Cambridge Avenue per raggiungere la stazione della Bakerloo.

Difficile non accorgersi del bizzarro e malridotto edificio sul marciapiede opposto.

Una mattina Riccardo e il figlio notarono due tizi, un uomo e una donna, che avevano appena aperto la porta della chiesa e stavano misteriosamente armeggiando sulla soglia. L’uomo era alto e allampanato mentre lei era pallida, con una gran massa di capelli biondi e spioventi, gli occhi pesantemente bistrati e lo smalto nero sulle unghie.

Riccardo approfittò della loro presenza, per quanto un po’ inquietante, per chiedere se fosse possibile visitare l’edificio. La donna con gli occhi incorniciati dal rimmel annuì, dicendo che erano i benvenuti. E così, leggermente titubanti, entrarono.

Pochi secondi dopo, mentre i loro occhi si stavano abituando alla penombra dell’atrio e scorgevano in lontananza la sagoma minacciosa di una mitraglia della Marina, sentirono alle spalle la voce della donna: “Scusateci ma dobbiamo chiudervi dentro perché abbiamo qualche problema con la serratura e per ripararla dobbiamo chiudere la porta dall’esterno”.

Slam! Riccardo sentì il sangue raggelarsi nelle vene ma non lo fece vedere al figlio, anzi lo rassicurò con una tipica frase da film d’azione: “Nessuna problema. Se succede qualcosa di strano io cerco di menarli, tu scappa via veloce e infila una finestra e, se ce la fai, vai fino alla stazione della metro qui davanti e avverti il poliziotto”.

Ovviamente tutto questo non fu necessario, perché la porta fu riparata e i due tizi si rivelarono persone squisite, regalando a padre e figlio un giro turistico più unico che raro.

Il Kilburn Tin Tabernacle fu costruito nel 1863 dall’architetto James Bailey, come sede temporanea per una chiesa congregazionale. Obiettivo era quello di fornire ai ferrovieri e ai lavoratori locali un’alternativa al pub e farli rimanere dunque sulla retta via.

Questo fine fu abbandonato nel 1902, quando l’edificio fu convertito prima in teatro e successivamente in cinema.

Durante la seconda guerra mondiale divenne sede dell’ARP (Air Raid Precautions), organizzazione che si occupava di proteggere i civili durante le incursioni aeree dei tedeschi.

Poi, terminato il conflitto, passò in mano ai cadetti della Marina, che fecero una cosa meravigliosa: trasformarono gli interni in una nave da guerra!

Per rivestire le pareti utilizzarono il metallo ricavato da vecchi autobus Leyland. Poi crearono oblò, cabine, corde nautiche, lampade, e installarono persino un’autentica mitraglia Bofors proveniente dai cantieri di Portsmouth. Sotto di essa c’è ancora il fonte battesimale in granito della vecchia chiesa.

C’è addirittura una cappella, che viene dal set di “Becket”, film del 1964 con Peter O’Toole e Richard Burton girato agli Shepperton Studios.

Fino a qualche decennio fa in cima all’edificio svettava una guglia di 6 metri, misteriosamente sparita dal giorno alla notte.

Oggi i cadetti sono ancora qui e fanno il possibile per conservare al meglio questo luogo davvero unico.

Ogni tanto vi si tengono concerti o vengono installate esposizioni d’arte contemporanea. E’ raro trovare aperto (non fidatevi degli orari esposti all’ingresso) ma non abbandonate le speranze e fate come Riccardo e suo figlio: passate spesso di lì, augurandovi di trovare qualcuno che armeggia davanti all’ingresso. Magari spacciatevi per fabbri e sarete accolti con il tappeto rosso.


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