Perché ho accettato di metterla in casa? Perché non avevo i soldi per pagare tutta la stanza, è chiaro.
E’ stata Grace a propormelo, il proprietario non l’avrebbe saputo. “E’ una ragazza del tuo paese”, mi ha detto, “Vi troverete bene”, ha aggiunto. Secondo loro, infatti, basta venire dallo stesso paese per andare d’accordo. Ma non avevo altra scelta che farmela scendere. Avevo bisogno di soldi, mica di compagnia.
Arrivò di mattina che io ero a lavoro, quando tornai a casa me la trovai in camera a disfare la valigia. Aveva la faccia stravolta, aveva viaggiato di notte, la valigia piena di libri, e di foto, qualche vestito sparso sul letto, mi chiese scusa per il disordine ancora prima di presentarsi, non poteva avere più di 23 o 24 anni.
“Mi chiamo Caterina”, mi disse. Aveva il sorriso pulito, doveva venire da quelle parti interne tra le campagne e il mare, aveva la faccia ancora abbronzata, al polso un braccialetto portafortuna che doveva averle regalato qualche venditore di passaggio. “Non ti preoccupare per il disordine”, le dissi, “Non sto quasi mai a casa”. Andai in cucina a preparare qualcosa da mangiare, presto me la ritrovai in cucina, seduta con i gomiti poggiati sul tavolo, che mi raccontava del suo viaggio, del posto bellissimo che aveva lasciato, del fidanzato col quale avrebbe continuato a sentirsi, di tutti quei progetti nella città grande, niente meno che Londra, “E’ il mio sogno da una vita”, mi disse a proposito del suo trasferimento. Aveva ancora gli occhi rossi, il suo sogno di una vita doveva esserle costato caro.
“E tu perché sei qui?” mi chiese, io non sapevo che dirle. Non ero partita con troppe ambizioni, ero venuta per provare, e poi tornare era diventato troppo complicato. “Ce l’hai un fidanzato?” mi chiese poi, quando vide che le prime domande si erano esaurite troppo presto e, mentre mangiavo, lei era lì che mi fissava, aveva lo stomaco chiuso. Le sorrisi. Che carina, pensai. “Più o meno”, risposi dopo un po’. Mentivo, ma lei non se ne accorse. Allargò i suoi grandi occhi nostalgici, “Pagherei per avere il mio fidanzato qui con me”, “Potrebbe sempre raggiungerti”, le suggerii. Mi disse che era troppo impegnato, già sapevo come sarebbe andata a finire, speravo solo che nel frattempo si sarebbe trovata un’altra sistemazione e altre spalle su cui piangere.
Caterina trovò lavoro qualche giorno dopo in un ristorante vicino al mio ufficio. Ogni tanto, passando lì davanti, la vedevo che saltava da un tavolo all’altro, era evidente che capiva poco di quello che le dicevano. Ogni tanto ci incontravamo la sera a casa, lei era così stanca che a malapena riusciva a salutarmi. Una sera la trovai a dormire con la testa poggiata sul tavolo. “Ma l’hai vista dove si è addormentata?” mi fece notare Grace. Nemmeno le risposi, perché non l’aveva portata a letto, diamine. Le misi il pigiama, aveva ancora addosso la divisa che puzzava di fritto, “Povera ragazza”, dissi tra me. La mattina dopo, quando mi svegliai, lei era già andata a lavoro. Sul tavolo della cucina trovai un foglio, c’era disegnato un cuore e dentro il cuore c’era scritto: “Grazie per ieri sera, sorella”. Sorrisi, misi il foglietto in borsa e corsi in ufficio.
La sera, quando tornai a casa, trovai Caterina che aveva preparato la cena anche per me. “Non mi andava di mangiare da sola”, mi disse. E poi disse anche che mi aveva vista in ufficio mentre lei era in pausa. “L’ultima pausa…”, aggiunse. “Come l’ultima?”, le chiesi. “Ho deciso di cercare un lavoro un po’ meglio… E resto qui, in casa con voi, magari ancora un altro mese, sei contenta?” mi chiese esultante. Sorrisi amaramente, no che non lo ero, ma ero contenta che fosse al sicuro. “Sai”, aggiunse poi, “Se poi una sera vuoi riportare qualcuno… Basta che me lo dici e ci si organizza!”. Scoppiai a ridere. “Cosa c’è da ridere”, “Niente…” risposi, era tanto di quel tempo che non succedeva… Voglio dire, che non succedeva di riportare a casa qualcuno.
Finimmo di mangiare presto, misi a posto la cucina, Caterina andò in camera e io uscii in quel piccolissimo balcone che avevo riempito con piante di aloe a altre robe a illudermi di avere anche io il mio piccolo angolo verde da rinfrescare. Ma metà delle piante erano rinsecchite, e pensare che avevo scelto quell’appartamento solo per quell’angolo di verde.
“Te lo vedi un film con me?” mi urló Caterina dalla camera, “Che film?” le chiesi. Non rispose ma, quando rientrai, la ritrovai raggomitolata sotto le lenzuola che già dormiva. Le coprii le spalle con la coperta, poggiai il computer per terra e mi misi a letto. Sentii la porta aprirsi, era appena rientrata Grace. Lei rientrava sempre a quell’ora. Mi alzai senza far rumore, andai in cucina per dirle che Caterina sarebbe rimasta più a lungo, ma quando arrivai in cucina, lei già se ne era andata in camera sua. Così uscii di nuovo fuori in balcone.
Londra era piena di luci. Mi piaceva Londra di notte. Le luci dai palazzi, la gente che rientrava, la giornata che finiva, il rumore del televisore dei vicini, i bambini che si rincorrevano al piano di sopra. Ogni sera da quel balcone osservavo la città che finalmente si prendeva una pausa mentre io, stanca morta, avevo la strana sensazione, inspiegabile a suo dire, di essermi appena svegliata.
“Che ci fai qui?” mi chiese Grace. Non mi ero accorta che era tornata in cucina, aveva aperto il frigo e stava stappando una birra. Rientrai e chiusi la finestra. Quella sera non faceva così freddo. “Mi ha scritto la ragazza” disse Grace, “dice che resta più lungo. Mi dispiace, non ce ne libereremo più… Tu che ne pensi?”, “Dico che… beh, ci farà comodo, non credi?” risposi. “Ben detto”, concluse Grace. E poi andai a letto.
In camera, Caterina già dormiva da un bel pezzo mentre la città, dietro di noi, rimaneva sveglia.
Ilaria Paluzzi è nata in Abruzzo nel 1985. Dopo aver studiato a Roma, e per qualche mese in Portogallo, è tornata in Abruzzo per diversi anni. Attualmente vive in Inghilterra, vicino Londra, città dalla quale continua a scrivere, mentre lavora come barista. Ha pubblicato due romanzi, Riva, con la casa editrice Bookabook, e La parte sinistra del cuore, con la Bakemono Lab. Ha collaborato con diversi giornali e progetti, di cui il più importante è quello che l’ha coinvolta come scrittrice per la collana Dafni&Cloe, rivista di alto spessore dedicata all’adolescenza, nella difesa della sua bellezza. Attualmente Ilaria Paluzzi sta scrivendo tante cose, alcune belle, altre meno, alcune importanti, altre si lasceranno andare insieme al tempo. Una cosa sola, lei dice, le resterà tra le mani, tra una città e l’altra, suggerita da una storia, urlata a gran voce in una voce in un’altra: scrivere e raccontare non è solo un’esigenza, ma è necessario, perché gli altri comprendano, perché nessuno dimentichi.
Londinesi – Storie di gente oltre confine è il suo blog. Seguitelo.