Englishman in New York

New York City, United States of America

“I don’t take coffee, I take tea, my dear
I like my toast done on one side
And you can hear it in my accent when I talk
I’m an Englishman in New York”

Così cantava Sting in un pezzo del suo secondo album da solista. E così, nonostante il brano sia un po’ troppo patinato per i miei gusti, l’ho scelto come titolo per il racconto di alcuni luoghi trovati nel corso di 5 giorni trascorsi a New York.

Anche laggiù, sull’altra sponda dell’Atlantico, sono infatti riuscito a trovare un po’ di Londra…

St Paul’s Chapel – 209 Broadway

E’ la più antica chiesa di Manhattan. Quando fu costruita, nel 1766, New York era ancora parte dell’Impero britannico e i suoi abitanti erano sudditi, non cittadini. Il modello a cui si ispirò l’architetto Thomas McBean è la celebre chiesa londinese di St Martin’s-in-the-Fields, disegnata da James Gibbs.

Il giorno del suo insediamento come Presidente, e nei due anni in cui New York fu capitale, George Washington partecipò alle funzioni e all’interno dell’edificio è ancora conservato il suo banco di legno.

St Paul’s Chapel ha superato indenne due eventi drammatici della storia newyorchese. Nel 1776 sopravvisse al Grande Incendio che seguì la Battaglia di Long Island contro gli inglesi e che distrusse un quarto della città. Nelle settimane successive all’11 settembre 2001 la chiesa divenne un luogo di rifugio e di riposo per tutti coloro che prestarono i soccorsi dopo il crollo delle Torri Gemelle. L’edificio rimase infatti miracolosamente intatto, nemmeno un vetro andò in frantumi.

Nel cortile sul retro si trova la “Bell of Hope” (Campana della Speranza), donata alla città di New York l’11 settembre 2002 dal sindaco di Londra e dall’Arcivescovo di Canterbury. La campana suona ogni anno l’11 settembre alle 8:46 del mattino ed è stata utilizzata anche in occasione di altre tragiche circostanze, come gli attentati di Madrid del 2004 e gli attacchi del 7 luglio 2005 a Londra. Il rintocco della campana simboleggia il trionfo della speranza in un momento di tragedia.

La “Bell of Hope” proviene dalla Whitechapel Bell Foundry di Londra, la fonderia più famosa del mondo che esiste dal 1570. Da qui sono usciti il Big Ben e la Liberty Bell di Philadelphia, la campana usata per richiamare i padri fondatori degli Stati Uniti alle sedute del primo Congresso americano. Purtroppo la Whitechapel Bell Foundry, attualmente la più antica azienda manifatturiera continuamente attiva in Gran Bretagna, chiuderà proprio in questi giorni (maggio 2017), vittima della crisi e del fatto che sempre meno anglicani la domenica frequentano le chiese.

British Pathé ci regala come sempre un magnifico filmato:

The Dakota (1 West 72nd Street)

E’ forse il più celebre condominio del mondo, costruito tra il 1880 ed il 1884 da Edward C. Clark, fondatore della Singer Sewing Machine Company. Si affaccia su Central Park ed è stato la residenza di numerose celebrità: posso citare il direttore d’orchestra Leonard Bernstein, le attrici Lauren Bacall e Judy Garland, il ballerino russo Rudolf Nureyev,…

Ma l’inquilino più famoso del Dakota è stato senz’altro John Lennon.

L’ex Beatle visse qui con la moglie Yoko Ono tra il 1973 ed il 1980, in un appartamento triplo al settimo piano.

La sera dell’8 dicembre 1980 Lennon fu assassinato da Mark David Chapman con quattro colpi di pistola alla schiena proprio nell’atrio del Dakota mentre stava rincasando dopo una giornata passata ai Record Plant Studios. Poche ore prima, all’ingresso dell’edificio, il 25enne Chapman aveva ottenuto un autografo da Lennon sulla sua copia dell’ultimo album del musicista, “Double Fantasy“.

“Non ho paura di morire, sono preparato alla morte perché non ci credo. Penso che sia solo scendere da un’auto per salire su un’altra” (John Lennon, 1969)

Infine una piccola aggiunta per i cinefili: il Dakota è l’ambientazione di “Rosemary’s Baby“, film di Roman Polański del 1968. Gli interni furono girati in studio ma il condominio compare spesso e in qualche modo è anch’esso protagonista della pellicola, con il suo aspetto tetro e misterioso.

Chelsea Hotel (222 West 23rd Street)

E’ un albergo con una storia a dir poco affascinante, ultimato come il Dakota nel 1884. Ha ospitato per lunghi periodi di tempo scrittori, musicisti, artisti e bohémien di ogni tipo. E’ impossibile fare una lista dei personaggi che sono passati di qui, ne cito soltanto qualcuno.

Il poeta gallese Dylan Thomas visse al Chelsea Hotel gli ultimi giorni della sua breve e tormentata esistenza; Arthur C. Clarke creò qui “2001: Odissea nello spazio”; Jack Kerouac scrisse nella sua stanza “On the Road”; l’albergo era punto di ritrovo per Andy Warhol e William S. Burroughs; Leonard Cohen gli dedicò la canzone “Chelsea Hotel #2”, in cui parla della sua breve relazione con Janis Joplin… Insomma l’aggettivo mitologico per descrivere queste mura è tutt’altro che fuori luogo.

Il collegamento con Londra è costituito da Sid Vicious, il bassista dei Sex Pistols originario di Lewisham. La sua fidanzata Nancy Spungen fu trovata assassinata sotto il lavandino del bagno della loro stanza, pugnalata all’addome da un coltello con una lama di 13 centimetri. Il giorno prima lo aveva regalato proprio lei al compagno. Sid Vicious dichiarò di non ricordare nulla della sera precedente e fu inizialmente arrestato per poi essere rilasciato su cauzione. Morì di overdose il 2 febbraio 1979 prima che il processo potesse iniziare.

L’albergo è attualmente chiuso per restauro ma continua ad ospitare i suoi numerosi long term residents. Da qualche anno non è più possibile soggiornare per più di 24 giorni consecutivi ma la regola non è retroattiva, pertanto molte stanze sono tuttora abitate in maniera permanente da inquilini spesso anziani e decisamente bohémiens. Ho avuto la fortuna di varcare la soglia e di chiaccherare nell’atrio con un’addetta dell’albergo che mi ha raccontato qualcosa sui progetti di ristrutturazione che, a quanto sembra, non dovrebbero alterare lo spirito di questo luogo incredibile. Incrociamo le dita…

Cleopatra’s Needle (Central Park)

L’ultimo pezzo di Londra a New York l’ho incrociato mentre pedalavo per Central Park. All’altezza del Metropolitan Museum of Art si erge un autentico obelisco egizio, risalente al 1475 a.C. e proveniente da Eliopoli.

Alla fine dell’Ottocento dall’Egitto salparono per nave tre obelischi diretti rispettivamente a Parigi, Londra e New York. Tutti e tre hanno preso il nome di Cleopatra’s Needle (Ago di Cleopatra). Quello di New York fu eretto nel 1881 a Central Park come dono del vicerè d’Egitto agli Stati Uniti ed è gemello di quello londinese che si trova in riva al Tamigi e di cui ho fatto cenno in un articolo di qualche mese fa. L’obelisco parigino è invece proveniente da Luxor.

 

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