Trellick Tower – La Torre del Terrore

5 Golborne Road – Tube: Westbourne Park

Leggi il nome “Goldfinger” e pensi subito all’antagonista di James Bond, quello che nel romanzo vorrebbe far saltare in aria Fort Knox con una bomba atomica e che è solito verniciare d’oro le donne con cui va a letto.
La storia di oggi non ha niente a che fare con spie, ordigni nucleari o fanciulle dorate. E’ cosa assodata, però, che per dare il nome allo spietato nemico di 007, Ian Fleming prese in prestito il cognome di un architetto ungherese da anni trapiantato a Londra: Ernő Goldfinger.

Il libro fu pubblicato nel 1959 e, pochi giorni dopo, gli avvocati del furioso Goldfinger si misero in contatto con Fleming, invitandolo a rinominare il personaggio “Goldprick” e minacciando una causa legale. Alla fine fu trovato un accordo economico: Auric Goldfinger sfidò James Bond nella finzione e l’architetto ottenne un risarcimento e sei copie del libro.

La scelta di Fleming di utilizzare il cognome Goldfinger non era stata affatto casuale: i due avevano avuto uno scontro già trent’anni prima. L’architetto era un personaggio noto per il caratteraccio, per l’assoluta inflessibilità nei confronti dei committenti e per la mancanza totale di senso dell’umorismo. Esplodeva spesso in scatti di collera incontrollabili, licenziava i collaboratori su due piedi se li riteneva troppo scherzosi, era insomma un personaggio apparentemente orribile.

Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio del decennio successivo, Ernő Goldfinger era diventato per l’opinione pubblica inglese la quintessenza del male in architettura, il creatore di edifici alienanti e disumani.
La verità è che Goldfinger incarnò suo malgrado l’ultima fase, quella calante, di un movimento che aveva caratterizzato la Gran Bretagna nei vent’anni precedenti: il brutalismo.

Il simbolo di questa scuola architettonica è il cemento (brutalismo deriva dal béton brut di Le Corbusier). Pratico, flessibile e indistruttibile, il cemento divenne la metafora del futuro in un Paese uscito ferito dalla seconda guerra mondiale. Londra, in particolare, dopo il 1945 dovette affrontare un serissimo problema di carenza di abitazioni, a causa delle distruzioni portate dai bombardamenti tedeschi.
Gli esponenti del brutalismo predicavano una vera e propria ideologia socialista (Goldfinger stesso fu sempre un convinto marxista) che in quel periodo storico si rivelò adattissima a rispondere alle richieste del governo: abitazioni di edilizia popolare ad alta densità, per ospitare la popolazione sfollata che era momentaneamente ospitata in case prefabbricate.
In tutta Londra cominciarono così a spuntare come funghi numerosi grattacieli residenziali di 20-30 piani, anche in zone che non avevano mai visto case che superassero pochi metri di altezza. Per il governo laburista, e per l’opinione pubblica, si trattava di una soluzione moderna, che guardava con ottimismo al futuro.

Non fu tutto rose e fiori, però. Con il passare degli anni gli imponenti condomini sparsi per la città cominciarono a mostrare i primi problemi, alcuni di carattere tecnico, altri di tipo sociale: nel 1968, ad esempio, fece scalpore il disastro di Ronan Point, un palazzo di 22 piani a Newham che collassò parzialmente a causa di una fuga di gas uccidendo 4 persone e ferendone 17; erano poi frequenti i casi di alienazione e di spaesamento negli inquilini di edifici così enormi. L’opinione pubblica inglese iniziava dunque a guardare con crescente diffidenza i moderni condomini.

Quando nel 1966 il Greater London Council incaricò Ernő Goldfinger di progettare un grattacielo residenziale a Kensal Town, il destino dell’edificio (che fu battezzato Trellick Tower) era già segnato.
L’architetto ungherese si ispirò ad una sua recente realizzazione, la Balfron Tower di Poplar, e mise a punto alcuni miglioramenti a problemi che aveva notato vivendoci per due mesi.

Un’abitudine che differenziava Goldfinger dai colleghi era proprio il fatto che era abituato a testare gli edifici appena costruiti, abitandoli per il periodo di tempo necessario a trovare e possibilmente risolvere gli inconvenienti che riscontrava.

31 piani per 120 metri di altezza complessiva, la Trellick Tower fu completata nel 1972.

E’ caratterizzata da una separazione netta tra l’edificio che contiene 217 appartamenti di varie metrature e la torre di servizio che ospita gli impianti di riscaldamento, le scale e gli ascensori. Ogni tre piani, tra le due parti dell’edificio, ci sono delle passerelle coperte che danno alla Trellick Tower l’aspetto caratteristico che la rende un monumento significativo, anche se controverso, della Londra del secondo Novecento.

Insieme al progetto l’architetto aveva dato precise indicazioni: una selezione preventiva degli inquilini, la richiesta al Greater London Council di una portineria per controllare gli accessi, severi controlli sull’andamento dei lavori di costruzione.

Le sue raccomandazioni non furono accolte e prima ancora dell’inaugurazione alcuni vandali misero in funzione gli idranti allagando il vano degli ascensori, causando gravi danni all’impianto elettrico. Negli anni successivi cominciarono a diffondersi voci di stupri nei corridoi, di violenze su bambini, tensioni razziali e spaccio incontrollato di droga.

“I built skyscrapers for people to live in there and now they messed them up. Disgusting.”

La frase di Goldfinger ben riassume il suo atteggiamento nei confronti di chi stava distruggendo la sua utopia, il suo nobile tentativo di ricreare a Londra il modello di machine à abiter teorizzato da Le Corbusier.

La Trellick Tower, in effetti, nonostante l’aspetto esteriore non troppo attraente, all’interno presenta appartamenti con soluzioni abitative di pregio: inserti in legno di cedro, colori ben studiati e un’enorme quantità di luce dalle grandi finestre. Goldfinger vedeva infatti l’architettura come l’arte di racchiudere lo spazio, tanto che le sue realizzazioni sono apprezzabili soprattutto dal loro interno.

La Trellick Tower fu quasi certamente la principale ispirazione per “Condominium”, romanzo di fantascienza scritto da J. G. Ballard nel 1975.

Il protagonista è Anthony Royal, cinico architetto che ha progettato un enorme lussuoso grattacielo come esperimento sociale, e che va ad abitare nell’attico. Il condominio è una sorta di città verticale, non ci sono soltanto appartamenti ma tutte le comodità della vita moderna: piscina, parrucchiere, sauna, ristorante, palestra, supermercato,… Ben presto, però, l’apparente benessere dei duemila abitanti lascia il posto ad una escalation che da innocenti screzi giunge fino a violenze sempre più efferate, omicidi compresi. Il tutto con lo sfondo di un condominio abbandonato a se stesso, lasciato senza la minima manutenzione.
Il romanzo contribuì a peggiorare la fama della Trellick Tower, che alla fine degli anni ’70 era già diventata per tutti la “Torre del Terrore”.

La situazione cambiò alla metà degli anni ’80, con l’introduzione del right to buy e la dotazione di una portineria per il controllo degli accessi. Fu costituita un’associazione dei residenti e da allora, pur tra mille inciampi, la Trellick Tower ha progressivamente visto migliorare le proprie condizioni e l’appetibilità sul mercato immobiliare. Nel 1998 è diventata addirittura un monumento classificato e protetto.
E’ ormai un’icona londinese, spesso sfruttata come set cinematografico e citata da musicisti come il frontman dei Blur, Damon Albarn.

Come a volte accade a chi anticipa troppo i tempi, la Trellick Tower ha ottenuto i giusti riconoscimenti dopo anni di disprezzo e indifferenza. E’ il momento della riscossa per questo edificio e per il suo architetto. Sentirete presto parlare nuovamente di Ernő Goldfinger: il prossimo post racconterà la mia visita alla sua affascinante abitazione londinese.

Qualche anno fa Sandy Helsel chiudeva con queste parole uno speciale della BBC dedicato alla Trellick Tower:

“Non è un edificio semplice. Ma chi ha mai detto che l’architettura debba essere semplice?”

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